INTERVISTA | Emanuele Colandrea e la sua lista delle cose da non diventare

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Emanuele Colandrea, cantautore della provincia di Latina. Dopo l’esperienza con i Cappello a Cilindro e gli Eva Mon Amour, esordisce musicalmente come solista nel 2015 con l’album “Ritrattati”. Segue subito dopo “Canzoni dalla fine dell’anno”, che anticipa il disco “Un giorno di vento”. Nel 2017 è invece il turno di “Ritrattati Deluxe”, una ristampa musicale arricchita.
A gennaio 2020 è uscito il brano Il mio amico parla male, in collaborazione con Lucio Leoni, un singolo che anticipa l’Ep “I miei amici immaginari” e che mantiene viva la firma di autenticità tanto apprezzata nei pezzi di Emanuele. La sua musica è infatti un connubio perfetto tra poesia e cantautorato essenziale, in cui la verità e la voglia di mettersi in gioco sono al centro di tutto, senza sotterfugi e il politicamente corretto.
Il tour di presentazione avrebbe dovuto aprire i battenti a inizio marzo, in una serie di live che avrebbero visto Emanuele accompagnato alle percussioni e ai cori da Erika Trivelloni. In attesa che l’emergenza sanitaria nazionale si concluda nel migliore dei modi e si possa ritornare alla normalità, abbiamo parlato un po’ con l’artista, che ci ha raccontato qualcosa di sé anche attraverso i brani dei suoi precedenti album.
Ciao, Emanuele! A breve uscirà “I miei amici immaginari”. Descrivilo con tre parole.
Colloquiale, riflessivo e surreale (ma non troppo).
Il mio amico parla male è attualità e verità. Qui sottolinei cosa non vuoi diventare, ma cosa vuoi invece da te stesso?
Voglio continuare ad allungare la lista delle cose da non diventare, continuare a scavare.
L’ambizione è centrale in Nascondigli per i cani. Sei un ragazzo ambizioso?
Dipende. Se l’ambizione ha a che fare con la realizzazione e quindi seguire ma anche proprio inseguire le proprie pulsioni e passioni direi di sì, sono ambizioso. Se invece parliamo di ambizione legata al successo o a chi “ce l’ha più grosso” no, non sono ambizioso (risate).
In Non sono mai nato in città sottolinei le tue origini e parli di tuo padre, com’era il rapporto con lui?
Credo per fortuna di somigliargli in molte cose. Papà era un tipo di poche parole, mi ha insegnato tutto con i fatti e che sono proprio questi quelli che contano. Parafrasando qualcuno potrei dire che predicava poco e razzolava bene.
Il diritto di sbagliare è ciò che chiedi invece in Ancora non so come si fa. La società ci vuole perfetti?
La società o chi per lei ci vuole rincoglioniti, purtroppo, più che perfetti. Ben vengano gli sbagli, fanno sempre parte di una ricerca, di un percorso, di un’analisi. Credo che inseguire a tutta velocità una qualsiasi perfezione o presunta tale ci porti solo ad assomigliarci tutti e la cosa non so voi, ma io non la trovo entusiasmante.
Concludiamo con Prometto, un inno a se stessi, un volersi bene. Hai mantenuto quelle promesse?
Alcune sì, nel frattempo me ne sono fatte pure delle altre! Diciamo che il cantiere delle promesse è sempre aperto per tutti e in questi cantieri tocca alzarsi presto e andare a lavorare ogni santo giorno.