Sanremo 2019: il “gran rifiuto” di una canzone vincente

A una quindicina di giorni dall’inizio del Festival, l’amore per la verità ci muove a mettere qualche puntino sulle “i”. Diciamolo subito. Ci sono canzoni e canzonette. E la canzone di Pierdavide Carone e i Dear Jack intitolata “Caramelle” sul tema della pedofilia non è una “canzonetta”. Ebbene, ci ha commosso, se la commozione non è un sentimento trascurabile di cui vergognarsi.
Chi ha visto per caso la trasmissione di Massimo Giletti “Non è l’arena”, andata in onda domenica 13 gennaio su La7 in prima serata, capirà ciò che intendo. Chi non l’ha vista, ma ama la Musica con la maiuscola, capirà lo stesso.
La “ritirata” del prof
Il prof. Stefano Zecchi, noto filosofo e scrittore per le sue graffianti analisi sui temi della modernità, stavolta ha messo piede, per così dire, sulla barca di Caronte. Chiamato in esterna a commentare il rifiuto sanremese della canzone in argomento, senza prima averla ascoltata ha espresso giudizi poco lusinghieri sul testo della stessa, definendola una “canzonetta” e suscitando in tal modo la disapprovazione corale del parterre. Il professore sostiene che il palco di Sanremo non può essere considerato sede la più appropriata per la divulgazione della cultura, anche perché divenuta una kermesse con irrilevanti indici di ascolto.
In realtà, caro professore, sembra che la maggior parte degli italiani, anche i più distaccati da questo genere musicale, favoriti dall’inclemenza atmosferica invernale che invita al calduccio delle pareti domestiche, seguita a dare una sbirciatina allo schermo sanremese, se non altro per curiosità e amore di gossip. Ma il punto è un altro.
Il mondo della canzone – e chiamiamola anche “canzonetta” non in senso dispregiativo – è un universo variegato attraverso il quale vengono espresse emozioni, vuoi di dolore e di gioia, vuoi di amore e odio, vuoi di denuncia contro i tempi e dissenso politico del momento. La Musica va a braccetto con l’Arte, perché la musica è essa stessa arte. Ci sono “canzonettieri” che riescono a farlo bene e altri meno. Come pittori eccellenti e pittori cosiddetti della ” domenica “, che farebbero bene a tenere le loro croste esclusivamente tra le pareti domestiche. La vera arte, come la vera musica, hanno contenuti universali.
In definitiva, Zecchi ha tenuto a rilevare che non si può dare tanta importanza a una canzone, che non è un testo di Dante (chapeau!), portando poi ad esempio la statura artistica di un Lucio Dalla e di un Fabrizio De Andrè (ancora chapeau!). Ma cosa hanno a che fare questi grandi poeti della canzone nostrana, appartenenti d’altronde a ben altro contesto temporale, con l’esclusione da Sanremo della canzone di cui si tratta? In realtà, la censura su “Caramelle”, difesa dal professore a spada tratta come “segno di libertà”, sembra essere stata mossa da criteri decisi in ben altra sede, laddove si vanno a scalfire gli umori piuttosto fragili che in questi ultimi lustri hanno contrassegnato la politica all’ombra del Cupolone in merito allo scottante tema della pedofilia. È un tema – ha asserito il prof – che va discusso in sede “istituzionale”, non a Sanremo.
A tale dichiarazione assai “tranchant”, dopo aver ascoltato la canzone “proibita” mandata da Giletti in trasmissione per la prima volta e salutata da fragorosi applausi, il prof è rimasto visibilmente sconcertato, forse riconoscendo in cuor suo che “Caramelle” non poteva rientrare nel novero di quelle da lui ritenute “canzonette”. Rossonero in volto, con l’intera platea a lui sfavorevole, ha ritenuto bene “rinculare”, sfumando dal video ancor prima della fine della trasmissione come il diavolo davanti all’acqua santa. Non si sa quanto consapevole di aver sbagliato o, piuttosto, ancor più fermo nelle sue granitiche convinzioni.
Abbiamo tuttavia letto il testo di “Caramelle” tanto sottovalutato dal prof. Ebbene, il motivo rap, con buona pace di Zecchi, non aveva ragione di prendere a prestito parole troppo alate. Sono le parole di una realtà nuda e cruda, le parole semplici che l’autore fa uscire dalla bocca di alcuni bambini nel racconto di una loro giornata “particolare”, là dove, in un crescendo musicalmente emotivo, la narrazione giunge ad un comune, sconvolgente leit-motiv che li segnerà tutta la vita:
“Dammi la mano bambino e vieni nel bosco.
No che non sono un estraneo, io ti conosco,
Vengo dal tuo stesso posto.
Nel mio silenzio il ricordo di cose più belle,
il colore delle stelle, mentre prendi la mia pelle,
in cambio un sorriso e due caramelle…”.
Ci basta questa canzone per ricordare il Festival 2019. E non sappiamo se le serate sanremesi ci vedranno in ascolto davanti alla tv, tra uno zapping e l’altro, tanto per capire quali scampoli canori saranno degni di una sede non “culturalmente istituzionale” come quella della città dei fiori.
Angela Grazia Arcuri