Pesaro, uniti con il Capo dello Stato per “estirpare il marcio dai partiti”

Mentre la Padania si disgrega sotto i colpi della corruzione partitica, il presidente della Repubblica rilancia i valori della Resistenza e conquista la fiducia del popolo italiano
Erano in tanti ieri l’altro a Pesaro per il 67mo anniversario della liberazione d’Italia dall’occupazione nazifascista, per l’occasione presieduta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Una ricorrenza che quest’anno non è mai stata così vicina a quel 25 aprile 1945, quando il comitato di liberazione nazionale – una formazione interpartitica formata da movimenti di diversa estrazione ideologica, sociale e culturale che si opponeva al fascismo – diramò l’appello per l’insurrezione armata della città di Milano, allora sede del comando partigiano dell’alta Italia.
Oggi come allora, il Paese si trova a dover affrontare e risolvere una situazione economica molto difficile, caratterizzata da una disoccupazione altissima, un debito pubblico insostenibile di oltre 1900 miliardi di euro, pari a circa 32 mila euro pro capite, neonati compresi e un’inflazione che dal primo gennaio 2010 ha ripreso a crescere, mettendo a segno un incremento quasi triplo rispetto a quello del 2009 e toccando il 3,3 per cento nello scorso mese di marzo. Basta guardarsi intorno per avere l’impressione di trovarsi in un’altra epoca, incredibilmente lontana dal XXI secolo: impianti industriali dismessi, negozi sfitti, famiglie disperate senza più un quattrino in tasca per sfamare i propri figli e pagare il mutuo della casa, imprenditori e lavoratori che per le difficoltà economiche in cui si trovano decidono di togliersi la vita.
Forse il paragone può sembrare esagerato, ma sembra veramente di rivivere una situazione analoga a quel lontano 1945, quando ovunque apparivano i segni della guerra finita, con ponti distrutti, edifici mitragliati o bombardati, persone che piangevano i propri cari scomparsi nel corso del conflitto e che, per la fame, erano costretti a rovistare tra i rifiuti nella speranza di trovare un po di cibo. Dopo sessantasette anni, l’Italia è nuovamente stretta nella morsa dell’invasore. Un “nemico” atipico, scelto dal popolo per “reggere il timone” del Paese, curarne gli interessi, promuoverne lo sviluppo. Un avversario che si è sempre presentato con un viso benigno, innocente e sorridente, capace di promettere, incantare, illudere e persino di accontentare qualcuno, ma che, alla fine, ha seminato ovunque corruzione e clientelismo, minacciando più volte il prestigio e la credibilità della nostra nazione all’estero.
Parliamo della classe politica italiana, con i suoi sprechi e privilegi ingiustificati, divenuta punto di congiunzione tra faccendieri di ogni genere e organizzazioni criminali, spesso finalizzata a favorire gli interessi personali. Ne sa qualcosa il capo dello Stato, che, nel corso del suo discorso pesarese, dinanzi ad una piazza gremita da migliaia e migliaia di persone, ne denuncia pubblicamente le “mani poco pulite”: «Occorre impegnarsi perché dove si è creato del marcio venga estirpato, perché i partiti ritrovino slancio ideale, tensione morale, capacità nuova di proposta e di governo». Parole forti, che lasciano intendere come ci sia un malessere che va ben oltre la crisi economica e che sta generando negli italiani un senso amarezza, tristezza, indifferenza, per l’incapacità a reagire contro una “casta” inattaccabile e invincibile.
Un sistema di potere vecchio e fuorviato, che per questo deve essere demolito e ricostruito, attraverso una nuova «legge elettorale, che consenta ai cittadini di scegliere i rappresentanti in Parlamento e non di votare nominati dai partiti». Un discorso che suscita gli applausi scroscianti dei presenti, stretti “a coorte” come le efficientissime legioni romane, mentre, al suono dell’inno di Mameli, un’interminabile distesa di sventolanti bandierine tricolori si leva al cielo in un clima quasi surreale. Una scena che sembra quasi voler esortare gli italiani a riprendere, uniti, le “gloriose armi”, ma che in realtà li invita a recuperare quella coscienza politica, serenità di spirito e forza interiore, necessarie per vincere, senza combattere, ogni confronto, diventando loro stessi, per primi, dei validi modelli da seguire.
Ma i veri protagonisti di questa giornata di festa sono stati i bambini, che hanno cantato a squarciagola l’inno nazionale portandosi la mano destra sul petto, segno di affetto per il Presidente e di un’amore per la Patria ancora vivo nei cuori di tutti noi, ma che stenta a trovare la sua giusta direzione e democrazia. «Io ho ritenuto doveroso, e non solo negli ultimi tempi ma in tutti questi anni – evidenzia il Capo dello Stato – sollecitare anche con accenti critici, riforme istituzionali e politiche; e mi rammarico che si sia, in questa legislatura e nella precedente, rinunciato a ogni tentativo per giungere in Parlamento a delle riforme condivise. Oggi però si sono create condizioni più favorevoli per giungervi: anche per definire norme che sanciscano regole di trasparenza e democraticità nella vita dei partiti, compresi nuovi criteri, limiti e controlli per il loro finanziamento». Napolitano, infine, conclude la sua visita con parole veramente ricche di energia, speranza e successo, sollecitando il popolo a imparare da ciò che è stato, senza dimenticare coloro che hanno dato la vita per il nostro Paese e per la nostra libertà: «Sono convinto che potremo riuscirvi, ispirandoci nel modo migliore agli insegnamenti e all’esempio della Resistenza. Trasmettiamo questa convinzione e questo messaggio di speranza nella giornata del 25 aprile, che resta scolpita nella nostra storia e nella nostra coscienza nel ricordo di tutti i combattenti e i caduti della Guerra di Liberazione»! Viva l’Italia, questo l’aggiungiamo noi.
Roberto Mattei
27 aprile 2012