“Il giardino del tempo”: giardini di colore, giardini dell’anima.
Giancarlo Limoni, in mostra al MACRO Testaccio, dal 21 giugno al 17 Settembre 2017.
Giancarlo Limoni, pittore della Nuova Scuola Romana, nasce nel 1947 a Roma, dove sarà fin da subito attivo (la sua prima personale è del 1975) e dove tuttora lavora. Interprete riflessivo e insieme esuberante di una ricerca personale sul rapporto tra natura e cultura, dagli anni Ottanta, grazie anche al sodalizio con il gallerista Fabio Sargentini, testimonia nelle numerose collettive (“Doppio, triplo, quadruplo”, “D’ailleurs, c’est toujours les autres qui meurent”, “Falsi astratti”, “A perdita d’occhio”) una sua visione post-impressionista del mondo e della natura, decostruendo plasticamente nelle sue opere la forma e la linea, sommerse e quasi travolte dallo slancio del colore e della luce.
La mostra di Giancarlo Limoni, la prima e più importante antologica personale, raccoglie nel Padiglione 9 del MACRO una trentina di opere, con un’esposizione molto semplice che lascia spazio alle grandi tele (“Giardino italiano”, l’opera di apertura, misura sei metri per tre) allineate sulle nude pareti, permettendo al visitatore di passeggiare tra i colori e le forme, le luci e le ombre che s’affacciano dalle tele.
Lo sguardo rivolto alla natura, al bosco come al giardino, Giancarlo Limoni va oltre l’impressionismo, nella ricerca del segno puro e trasforma l’impressione in traccia grafica, recuperandone l’aspetto dinamico, l’essenza della vitalità: le forme di alberi, fiori, cespugli, siepi sono non dimenticate, ma diversamente espresse, riportate all’essenziale, allo slancio cromatico. Sono il colore e la luce a raccontare d’un prato e d’un bosco, non più il loro “disegno”, ma la loro forza.
Le grandi tele sono finestre aperte, oltre le vecchie mura del Mattatoio, oltre le rugginose rotaie e i ganci per i quarti di bue(1): sono finestre aperte sotto la pioggia (“Giardino indiano sotto la pioggia”), affacciate su un roseto incendiato dal sole d’estate (“Siepe cinese”) o sull’ombra delicata d’un glicine (“Persefone”).
Il colpo d’occhio e lo sguardo d’assieme sono senz’altro suggestivi. Ma avvicinandosi alle tele, se ne scopre quasi una seconda natura: perché il colore ha una sua materialità, una sua plasticità, e come in una macrofotografia, emergono i dettagli dell’esecuzione, ed i colpi di spatola si staccano dallo sfondo, dalla tela che quasi fatica a contenerne l’irruenza. Avvicinandosi alla tela, libera e impudica nella sua forza, emerge il dettaglio carnoso, pastoso, tridimensionale – quasi violento – dei colpi di colore.
Nella luce morbida del padiglione, ci incantano questi luoghi immobili, nel tempo e nello spazio, eppure animatissimi, quasi ribelli alla tela, quasi a cantare una canzone di colore e di luce.
Da vedere, dandosi il tempo di meditare e, uscendo, di tornare ai colori più modesti della nostra quotidianità.
Per saperne di più:
http://www.museomacro.org/mostre_ed_eventi/mostre/giancarlo_limoni_il_giardino_del_tempo_opere_1980_2017
http://www.giancarlolimoni.com/
https://it.wikipedia.org/wiki/Fabio_Sargentini
(1) MACRO Testaccio è ospitato, con altre istituzioni e associazioni, nell’ex mattatoio di Roma (Mattatoio di Testaccio), attivo nelle sue funzioni industriali fino al 1975. È un complesso di padiglioni alle pendici del “Monte dei cocci” (“mons Testaceus”: 35 metri di cocci – “testae”, in latino – e detriti vari, accumulati nei secoli come residuo del porto di Ripa grande – “Emporium”) già adibito alla macellazione ed alla distribuzione delle carni destinata alla capitale. Ma è anche considerato uno dei pezzi fondamentali dell’archeologia industriale romana e conserva nella struttura e nelle attrezzature ancora oggi conservate (i recinti del bestiame, le caldaie per il vapore, un complesso sistema di catene, pulegge e ganci scorrevoli su una rete di binari), l’evidenza della sua funzione originaria.