L’attualità del pensiero antico nel dibattito digitale
Il Tascabile è una rivista enciclopedica edita dall’Istituto Treccani, che pubblica articoli di una certa lunghezza e di un certo spessore, muovendo dalla precisa scelta editoriale che vede il digitale come luogo di approfondimento, scardinando quel pregiudizio tacitamente accolto, per cui il web nel tentativo di assolvere la richiesta di concisione, prontezza e rapidità delle notizie trascuri i contenuti.
L’articolo de Il Tascabile di cui vogliamo parlare è “L’ossessione di aver ragione” di Giorgio Fontana, scrittore, sceneggiatore e giornalista, classe 1981. L’articolo è stato presentato e discusso lo scorso sabato 20 maggio nella Sala Editoria del Salone Internazionale del Libro di Torino appena conclusosi, nell’ambito di un incontro dal titolo: “La fine del dialogo. Da Socrate alla post-verità”.
La tendenza dell’uomo contemporaneo messa in luce da Fontana è quella ad avere sempre ragione. Che si tratti di una conversazione o più frequentemente di un’opinione scritta su una piattaforma social, l’aspirazione è quella ad accaparrarsi più consensi possibile e, in presenza di idee discordanti, metterle a tacere. Per spiegare questa scarsa volontà dell’uomo 2.0 di essere contraddetto l’autore richiama un dialogo di Platone, il Protagora.
L’argomento su cui Socrate e Protagora divergono in questo dialogo è duplice: da un punto di vista contenutistico si discute “che cos’è la virtù?”, da un punto di vista procedurale assistiamo all’opposizione tra la macrologia protagorea e la brachilogia socratica. In chiave ancor più radicale, secondo Fontana, lo scontro è tra una modalità sofistica di dialogare con l’intento di prevaricare l’avversario e sconfiggerlo nella discussione e la modalità socratico-platonica di discorrere in un clima di amicizia, nel quale ognuno rende ragione delle proprie argomentazioni. Saper dare ragione vuol dire non solo motivare perché si è deciso di sostenere una determinata tesi, ma anche assumersene la responsabilità e l’impegno che ne deriva.
Secondo Fontana la modalità di dialogo sofistica si trova espressa in chiave contemporanea nella guerra dei like, nell’ambito della quale si soprassiede spesso sul contenuto veritativo o sulla necessità quasi scientifica della verificazione delle notizie. Un esempio su tutti è la spinosa questione della post-verità e della diffusione delle fake-news.
L’articolo propone dunque una riscoperta del valore platonico del dialogo come scambio reciproco di idee e un cambiamento degli obiettivi dello stesso; il dialogo è da intendersi non come mezzo di sopraffazione, ma come mezzo di comprensione e di incontro con l’altro. Si tratta di attuare una riscoperta etica del valore della dialettica.
L’articolo ci convince tanto nel suo far riferimento al mondo della filosofia antica, tanto nel palesare l’attualità dell’ideale socratico-platonico di dialogo. Un dialogo in cui c’è in gioco tutto, che si presenta come nient’altro se non il luogo della verità, che si conquista per gradi in uno sforzo costante di superare false opinioni e pregiudizi limitanti, puntando al traguardo di una visione illuminante ed illuminata sulla realtà.
Ugualmente convincente è la proposta di recuperare, per dirla alla Habermas, un’“etica del discorso”, tema anche questo in linea con il pensiero socratico-platonico. Platone dà un’accezione più complessa alla dialettica, ma conserva l’eredità socratica che la considera non semplicemente un metodo dialogico, ma secondo quanto sostiene Gabriele Giannantoni, il sommo bene.
Appaiono purtuttavia doverose alcune considerazioni. Nei dialoghi platonici alla figura del filosofo animato dall’amore per il sapere, che dialoga in maniera pacifica con il solo intento di cogliere la verità, si contrappone la figura del sofista, o ancora peggio dell’erista, che dialoga solo per desiderio di vittoria, per ottenere onori e compensi. La caratura storica di esponenti del pensiero quali i sofisti non è però facilmente riducibile all’idea di questi come “trionfatori nei discorsi” o “prevaricatori seriali”.
Consideriamo Protagora e il suo celebre principio “l’uomo misura di tutte le cose”. Questo frammento viene interpretato in chiave relativista e soggettivista. Al fondo del principio protagoreo però c’è un ideale di tolleranza marcato, secondo il quale tutte le opinioni degli uomini sono vere e tutti gli uomini considerati in un’ottica di parità (argomento che già mal si attaglia con l’idea del sofista come colui che vuole solo sopraffare il suo interlocutore). Tutte le opinioni sono equiparabili quanto alla loro verità, alcune semplicemente sono più utili di altre; da qui la sapienza di Protagora consiste nel rendere migliori le opinioni peggiori. Il criterio dell’utile che Protagora fa proprio agisce tanto per il benessere del singolo, quanto per il benessere della comunità.
I frammenti di Protagora dicono che fu il primo a sostenere che per ogni esperienza vi sono due discorsi in merito contrari tra loro. Ciò potrebbe andare nella direzione della scarsa attenzione per il contenuto, dal momento che di ogni esperienza si potrebbe dire tutto e il contrario di tutto indifferentemente. Ma soffermiamoci a pensare alla molteplicità di opinioni sostenibili su uno stesso argomento, alla varietà dei modi di considerare ogni aspetto della nostra vita e a come una prospettiva diversa possa influire sul modo in cui ci esprimiamo in merito ad un qualsiasi aspetto della realtà. Così anche il pensiero dei discorsi duplici protagorei appare meno viziato dal voler avere ragione sempre, a tutti i costi e risulta invece improntato ad una visione conglobante le molteplici sfumature del reale.
Avere ragione oggi va di pari passo con il riconoscimento sociale. Ci si sente perciò in dovere di prendere posizione ad ogni costo, con il rischio di cucirsi addosso un’etichetta, nella peggiore delle ipotesi presa in prestito e non saperne dare ragione. In un caso simile qual è il gap? Informazione e spirito critico. La sola risorsa per ovviare alla mancanza di questi due ingredienti fondamentali per la riuscita di qualunque dialogo è l’educazione.
L’educazione necessita di maestri. Il termine greco σοφιστής esprime originariamente “l’idea di esperienza, maestria in qualche cosa”, ha poi subìto un’evoluzione in senso spirituale, per giungere ad indicare un più generale possesso di sapienza e l’attività di comunicazione della sapienza (M.Untersteiner, Sofisti, Testimonianze e Frammenti). La sofistica antica, che vede i suoi esponenti di spicco in Protagora e Gorgia, si delinea come il primo umanesimo e illuminismo della storia. I sofisti spaziavano con il loro sapere tra le più varie discipline; essi furono i primi maestri della storia del pensiero.
Che non sia forse la nostra “ossessione di aver ragione” una velata richiesta di nuovi maestri che ci guidino dal voler aver ragione al saper dar ragione?