Bia de’ Medici: la bambina col taglio a carrè vissuta al Castello di Lunghezza
ROMA — Tra noi e Bia de’ Medici c’è qualcosa di strettamente personale. La prima volta che vedemmo il ritratto del Bronzino, tanti anni fa, non fu soltanto la sua bellezza a colpirci quanto il taglio particolare dei capelli, quello corto e squadrato che oggi si direbbe in qualche modo taglio a carrè, inusuale nel ‘500 in cui visse. Ci affezionammo a quell’immagine riprodotta su cartoncino, conservandola con cura in un cassetto e ripromettendoci di indagare sulla sua storia per spiegare la foggia di quei capelli: una curiosità che il tempo e gli eventi non ci permisero di soddisfare.
Poi, a metà circa del decennio trascorso e per strana casualità, andammo a visitare il Castello di Lunghezza con due signore inglesi, interessate al luogo dove aveva soggiornato Axel Munthe con la nobile consorte scozzese. Giunte in una stanza, visibilmente appartenuta a una bambina per l’arredo infantile, quale non fu la nostra grande sorpresa ed emozione nell’apprendere dalla guida del castello che la stanza era appartenuta a Bia de’Medici e ad informarci che ‘responsabili di quel taglio furono le suore’. Era quello uno strano filo che ci legava, come se Bia, per un misterioso legame col mondo dei vivi, ci avesse voluto mostrare la stanza dove era vissuta, il letto di trine, la minuscola spazzola per capelli, il piccolo specchio sul cassettone, i suoi giochi.
Ed ora, pur se tardivamente, prendiamo per mano Bia lasciando che ci racconti la sua singolare storia, lungo quel breve scorcio di vita di cui si hanno purtroppo notizie assai scarse e frammentarie. Ci è d’aiuto qualche libera interpretazione nell’intreccio delle date e degli eventi relativi all’intricata discendenza medicea, spesso discordanti da fonte a fonte.
Figlia naturale del Granduca di Toscana
Cosa certa è che Bia, diminutivo di Bianca, nata nel 1536 o 37, fosse figlia naturale del giovane Cosimo I de’Medici (futuro Granduca di Toscana) prima che sposasse nel 1539 la bellissima diciassettenne Eleonora di Toledo, figlia del Vicerè di Napoli, morta a 40 anni di tisi quasi nello stesso periodo in cui morirono di malaria alcuni dei suoi undici figli. Cosimo, assai innamorato di Eleonora, ne soffrì molto. Ma, per quanto riguarda il suo amor paterno, pur non rivelando mai il nome della madre di Bia, non nascondeva la sua predilezione per quella figlioletta, alla quale era talmente affezionato da portarsela spesso dietro.
Purtroppo, una volta in viaggio col padre verso Arezzo nel 1542, Bia fu colta da forti febbri, forse malariche, ed anche lei morì a soli 5 o 6 anni. In vita, fu posta sotto la tutela della nonna paterna Maria Salviati (1499-1543), vedova del condottiero Giovanni de’Medici noto come Giovanni dalle Bande Nere.
Nel 1514 circa Alfonsina Orsini sposata con Piero de’Medici detto il Fatuo, ebbe in eredità il castello di Lunghezza. Nonna di Caterina, futura regina di Francia (1519-1589), se ne prese cura quando la bambina, appena nata, rimase orfana nello stesso anno di entrambi i genitori, il figlio di Alfonsina Lorenzo duca di Urbino con la moglie Madeleine de la Tour d’Auvergne. Alla morte di Alfonsina nel 1520, Caterina fu mandata a Roma sotto la cura della zia Clarice, altra figlia di Alfonsina sposata con Filippo Strozzi, i quali ebbero dieci figli.
Si presuppone che, nell’intreccio di queste parentele, Bia venisse a contatto nei suoi pochi anni di vita con i numerosi membri della famiglia e che trascorresse forse dei periodi estivi a Lunghezza, dove si sarebbe ritrovata in compagnia dei figli legittimi del padre Cosimo e di altri bambini appartenenti a quella discendenza familiare, come avviene in tutte le famiglie allargate di oggi. E poiché la regina di Francia visse fino al 1589, anche se aveva…tanto da fare coi suoi intrighi di potere e le sue fisime culinarie, sembra non disdegnasse qualche scappatella al Castello vicino Roma per respirare aria buona e nel contempo sbrigare qualche ‘affaruccio’ all’ombra di S.Pietro, laddove nel corso della storia non sono mai mancati coinvolgimenti nelle lotte di potere. Fatto sta che a Lunghezza rimane ancora intatta e visitabile la stanza di Caterina de’ Medici.
Quel taglio di capelli!
Va detto che il castello era stato ab antiquo sede di un monastero benedettino e quindi proprietà della Chiesa, la quale si preoccupò di consolidare al convento una quota di proprietà dell’enorme dimora. Ancora nel ‘500, è verosimile che le monache aggregate all’ordine si adoperassero in qualche modo alle cure servizievoli dei diversi ‘condomini ’ e dei loro bambini. Ora, e non sembri arbitrario, viene facile pensare che i capelli di Bia fossero preda di quei fastidiosi parassiti che, come noto, nei secoli scorsi non risparmiavano nemmeno i ceti nobiliari per mancanza di acqua corrente e tutti i sussidi dell’igiene moderna. Sebbene… accada ancor oggi! Ed ecco che la misteriosa storia di Bia andrebbe a sfumare i suoi poetici contorni in un risvolto assai realistico che spiegherebbe il taglio tanto drastico delle suore!
Il ritratto del Bronzino
Dipinto a olio su tavola 64 x 48, quel ritratto è famoso in tutto il mondo tra i cultori dell’arte e custodito a Firenze nella Tribuna degli Uffizi insieme alla prestigiosa collezione medicea. Bia risulta essere ( come diversamente ? ) la preferita dal pubblico dei visitatori della Galleria fiorentina. Agnolo Bronzino ( 1503-1572), nominato da Cosimo ritrattista di Corte nel 1540 dopo la morte di Raffaello, dipinse la “puttina” Bia, come riporta il Vasari, nel 1541 o nello stesso 1542 prima della sua scomparsa.
La fanciullina, seduta a mezzo busto, appare in tutto il suo roseo splendore, le labbra mosse da una parvenza di sorriso, i capelli di un biondo castano divisi da una scriminatura centrale, lisci e tagliati dritti fin sotto le orecchie, con ai lati della fronte spaziosa due treccine civettuole. S’intravedono dei raffinati orecchini a pendant composti da due gocce, l’una di perla e l’altra di pietra viola chiaro, forse un’ametista. Una collana di perle bianche girocollo è accompagnata da una catena d’oro con un medaglione raffigurante il profilo del padre Cosimo; e, intorno alla vita, una catenella dorata termina con una nappa che la bimba tiene con la mano destra per giocherellare, quasi che l’impercettibile movimento delle dita voglia rivelare l’impazienza infantile di scendere dalla sedia. Lo sfondo blu di lapislazzulo usato dal Bronzino s’intona al colore tra il grigio-perla e l’azzurro chiaro del prezioso abito in raso con le maniche a sbuffo, prodotto dalle seterie fiorentine, che il padre Cosimo andava promuovendo in quegli anni…. come un moderno sponsor.
Nello stilismo manieristico del ritratto, è evidente l’assenza del chiaroscuro. Ciò ne mette in risalto quella valenza formale legata al puro classicismo, nella finitura dei contorni e nella precisione millimetrica dei particolari. E’ d’altronde caratteristica comune a tutti i ritratti medicei del Bronzino, che sembrano voler restare cristallizzati in un’aura metafisica, di bellezza incorruttibile e astratta, quasi intrisi di materia magica e inorganica quali simboli di un potere nobiliare imperituro e al di sopra degli altri stati sociali.
Un po’ di storia del Castello
Sorto sulle rovine della cittadella etrusca di Collazia sulle rive dell’Aniene, il castello si trova tra la Via Collatina e la Via Tiburtina e fonde il suo prevalente carattere medievale con le modifiche apportate in epoche successive. Adibito a monastero nel XIII secolo, fu dapprima occupato a forza dalla potente famiglia Conti di Poli, poi dai Colonna e quindi donato da Bonifacio VIII alla famiglia Orsini, passando per eredità ai Medici e poi agli Strozzi, i quali lo resero una delle più belle dimore dell’Agro Romano ristrutturandolo dalla sua decadenza. Michelangelo fu loro ospite tra tanti altri personaggi. Rimasto proprietà degli eredi Strozzi fino a fine ‘800, parte del castello venne acquistata dal Duca Pio Grazioli, parte dallo scrittore Edmondo De Amicis e parte ereditata dalla consorte del medico-scrittore Axel Munthe.
Axel Munthe (1857-1949), noto per la sua “Storia di San Michele”, ebbe infatti un ruolo assai significativo nella storia moderna del Castello. Poiché da giovane curava i malati di tisi nel suo studio a Piazza di Spagna, il Duca Grazioli, suo vicino e buon amico, gli mise a disposizione per la loro convalescenza un’ala del castello, che Munthe adibì prima a sanatorio e in seguito a casa di riposo per malati meno abbienti. Quando Munthe sposò in seconde nozze la nobile scozzese Hilda Pennington Mellor, suo padre acquistò quella parte del castello offrendola in dote alla figlia, la quale, dopo un’assenza in tempo di guerra, vi tornò a vivere fino alla sua morte nel 1967 apportandovi sostanziali restauri a seguito dei danni arrecati dalle truppe tedesche. Uno dei figli, Malcom, dopo la scomparsa della madre abitò per lungo tempo a Lunghezza istituendo la Fondazione Hilda Munthe, ora attiva in Svezia.
La fantastica atmosfera del Castello di oggi
Attualmente, il castello è proprietà di una società privata che lo ha adibito a struttura ricettiva, sede di ricevimenti ed eventi, secondo il costume invalso da tempo in Europa di utilizzare le vecchie dimore nobiliari altrimenti votate al degrado. Particolari nel parco gli intrattenimenti ludici per i bambini all’insegna tematica del “ Fantastico mondo del fantastico”. Tale operazione virtuosa a carattere turistico e culturale, contribuisce a divulgare le origini del territorio presso le nuove generazioni fungendo da stimolo all’iniziativa privata per il recupero di tanti siti del patrimonio storico e archeologico italiano abbandonati all’usura del tempo, una grave lacuna per la cultura italiana.
Ed ora che abbiamo assolto il nostro debito verso la memoria di Bia, lei sembra staccarsi dal ritratto del Bronzino e voler partecipare a quei giochi infantili nei prati del castello dai quali fu anzitempo strappata.
Angela Grazia Arcuri
20 marzo 2015