CÉZANNE E LA SAINTE VICTOIRE. Storia di una fascinazione
Si potrebbe dire che Paul Cézanne, essendo nato ad Aix-en-Provence, crebbe all’ombra della montagna Sainte Victoire. Il massiccio granitico che si erge a una quindicina di chilometri dalla cittadina provenzale ebbe un ruolo decisivo nel percorso creativo del pittore che in una lettera all’amico Emile Zola del 1878 ne parlava come del “ motivo dominante” della sua pittura. La ritrasse, infatti, con ossessiva tenacia per trent’anni, in un’ottantina d’immagini, da più punti di vista, e con una crescente libertà espressiva che andò sempre più geometrizzando il paesaggio.
La nostalgia della natura provenzale s’insediò nel suo animo appena si trasferì a Parigi nel 1863 e per tutti i sette anni che vi rimase gli impedì di adattarsi alla brillante vita sociale della città, spingendolo a vagabondare in collina piuttosto che condividere le bevute e le discussioni sull’arte del Cafè Guerbois, dove s’incontravano gli esponenti dell’avanguardia. Lo scoppio della guerra franco-prussiana nel 1870 fu il pretesto per lasciare Parigi e tornare ad Aix-en-Provence. Qui l’ambiente gli offriva non solo un’atmosfera familiare, ma soprattutto una luce più tersa, le grandi montagne, la vicinanza del mare e quella vita appartata consona al suo carattere schivo.
Da quei luoghi era spronato e li ritraeva con tenace applicazione perché “si possono trarre tesori da questo paesaggio, che non ha ancora trovato un interprete capace di rappresentare il profluvio di ricchezze che esso riserva”. A poche settimane dalla morte ne era ancora così affascinato da scrivere al figlio “Penso che potrei trascorrere dei mesi a lavorare sempre nel medesimo luogo, limitandomi a spostarmi di pochi centimetri a destra o a sinistra”. Questa fedeltà al paesaggio provenzale si riscontra nelle immagini dei pini marittimi squassati dal vento, del golfo di Marsiglia ripreso dal villaggio di pescatori dell’Estaque, della collina di Lauves dove installa un grande atelier per lavorarvi tutti i giorni e con qualsiasi tempo, della casa di famiglia nella tenuta Jas de Bouffan, nel cui parco dipinge en plein air.
Ovunque vada, la montagna Sainte Victoire incombe, s’impone sui campi e sui villaggi, invade la mente di Paul che la ritrarrà in 44 oli e 43 acquerelli. Di quel massiccio parlerà sempre con immutata meraviglia, “Osservate questa Sainte Victoire. Che impeto, che sete imperiosa di sole, e che malinconia, la sera, quando tutta questa pesantezza si placa …” oppure “Ho bisogno di conoscere la geologia, come la Sainte Victoire si radica, il colore geologico delle terre, tutto ciò mi commuove, mi rende migliore”. Testimone di questa fascinazione sarà il poeta e critico d’arte Joachim Gasquet che lo frequenterà per dieci anni e raccoglierà le loro conversazioni nel libro “Dialogo di un’amicizia”, scritto pochi anni dopo la morte del pittore avvenuta nel 1906.
Joachim Gasquet racconta: “Dal fondo di questa nebbia, tutto contratto, dipingeva, una mattina, dopo aver sistemato il suo cavalletto dinanzi al monte Victoire. Aveva il suo modello.
Dipingeva … quando la sua carrozza venne a prenderlo, il suo cocchiere lo trovò mentre batteva i denti, con la sua tavolozza in mano, zuppo d’acqua … Cézanne senza vedere nulla, poté a malapena risalire sulla carrozza. Un libro, il suo vecchio Virgilio, rotolò nel fango. “ Lasciatelo, e lasciate la mia tela,“ brontolò. Aveva la febbre. Delirava. Lo fecero stendere. Tutta la notte rivide, all’orizzonte della sua tela, laggiù, all’orizzonte del suo pensiero e della sua vita, una Sainte Victoire come mai ancora aveva ammirato. La dipingeva divina. La vedeva prorompente, sovrannaturale, veritiera, nella sua essenza ed eternità. La rivede forse ancora …”.
di Cinzia Albertoni
26 maggio 2014