Buzzati e Battiato. Ecco cos’è la sindrome della Fortezza Bastiani
Nel 1940 usciva a Milano per Rizzoli Il deserto dei Tartari. Una storia immaginifica, quella del romanzo, che ha concesso l’ufficiale consacrazione letteraria all’autore, Dino Buzzati. Il protagonista è Giovanni Drogo, un giovane militare di grandi speranze, partito alla volta della maestosa e mitica Fortezza Bastiani alla ricerca della propria personale missione.
Qui, in un luogo senza tempo, regna la costante attesa di un attacco nemico da nord a opera dei Tartari. Tutti aspettano la battaglia, inglobati in toto dalla monotonia della vita militare di confine. Un po’ come in Orologio da rote del marinista Ciro di Pers, le lancette scandiscono le ore lacerando il giorno e portando incessantemente verso la morte.
Passano gli anni e Drogo impara ad amare e a odiare quelle mura che lo contengono. Così come Jon Snow nel Castello Nero, anche Drogo nella Fortezza Bastiani è isolato e privato dell’amore, vive immerso coi i soli compagni in un luogo non toccato dalla civiltà.
La comune sindrome della Fortezza Bastiani
Ogni ospite della Fortezza è sopraffatto da un senso di alienazione dalla realtà, consapevole che l’attesa del nemico potrebbe essere vana. Gli spazi in cui si trova sono ristretti, Drogo si sente soffocare, l’abitudine ha preso sempre più piede e le giornate trascorrono identiche.
La sindrome della Fortezza Bastiani, la sensazione di straniamento dalla quotidianità e di costante monotonia, ha investito tutti noi durante il periodo di quarantena. Da riparo, le mura di casa nostra si sono rapidamente trasformate in prigione, inghiottendoci al loro interno.
La speranza di uscirne fuori cominciava a sembrare vana, ogni apertura era seguita da un’altra chiusura e noi, inermi, restavamo in attesa di un cambiamento. Come Drogo, la parola chiave era diventata abitudine.
Ma le cose sono cambiate, i nostri Tartari sono arrivati e le porte si sono schiuse. Ora il dubbio è un altro: abbiamo il coraggio di lasciare la Fortezza? Drogo ci ha provato, ma è stato sopraffatto dalla paura di non sentirsi più a casa, protetto, riparato dalle intemperie del mondo esterno.
È ritornato alla Fortezza, spaventato dai cambiamenti della vita. Per noi è, invece, necessario riabituarci lentamente a un altro tipo di esistenza, strappare il velo dell’apparente rassicurante protezione domestica per immergerci nella realtà che ci circonda.
Dobbiamo stare attenti! C’è il rischio di ricadere vittime della routine anche fuori dalle mura domestiche. Il quotidiano cittadino (tra impegni lavorativi e appuntamenti vari) tende infatti a riportare l’uomo sempre verso la monotonia e il senso di abitudine che lentamente lo lacera e lo consuma.
Abbiamo quindi il coraggio di lasciare la Fortezza e di vivere il giorno a pieno, sfuggendo dall’alienazione e godendo dell’imprevisto?
Battiato e la sua Fortezza Bastiani
L’indimenticabile cantautore siciliano Franco Battiato nel 2004 ha dedicato un brano alla Fortezza Bastiani, inserendolo nell’album Dieci Stratagemmi. Come Drogo, anche il Maestro si sente vittima della sindrome della Fortezza Bastiani e ricerca incessantemente la sua vocazione.
Le convenzioni e i condizionamenti nati dopo tanti anni vissuti tra le mura grigie della Fortezza sono oggi difficili da sradicare, la Fortezza ci difende dalle bugie del mondo, anche dalle menzogne di chi ci governa.
Gli autori del testo, Franco Battiato e Manlio Sgalambro, dividono la realtà tra i giusti, che seguono i principi etici e morali, e il mondo barbaro al di fuori della mura, i Tartari da cui doversi difendere con le sole armi della cultura.
È questa la Fortezza Bastiani di Battiato: un luogo di straniamento culturale dalla barbarie del mondo, una piccola trincea che protegge dal caos ma che forse tende a innalzare muri difensivi che non consentono un radicale cambiamento.
Dobbiamo avere il coraggio di lasciare la Fortezza, di porre il piede fuori dalla comfort-zone e provare a combattere contro i Tartari. Novelli Don Chisciotte, dobbiamo correre il rischio (molto probabile) anche di lottare contro dei mulini a vento. Sapere aude, diceva Immanuel Kant, “abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza”.