Dall’architettura pandemica all’architettura organica

Nella seconda stagione del podcast ArteFatti, il binomio Costantino Della Gherardesca e Francesco Bonami si addentra nuovamente nei meandri dell’arte contemporanea, con nuove storie e misfatti. Prendendo spunto dall’episodio Arte e Architettura, un approfondimento sull’arte dell’architettura “sanitaria”.
Un titolo inflazionato per un’architettura centenaria
Mai titolo fu più accattivante, nonché inflazionato, soprattutto in questi ultimi anni di estrema familiarità con la dimensione sanitaria nel pieno di una pandemia. Eppure, se ci si ferma a riflettere e si pensa alla storia dell’umanità o, molto più modestamente, alla storia dell’arte e dell’architettura, è possibile riscontrare una miriade di esempi che dimostrano l’interesse precipuo dei progettisti nelle costruzioni sanitarie e assistenziali, in tempi in cui le gravi malattie ad ampia diffusione e trasmissione erano all’ordine del giorno e brutalmente letali.
La lotta alla tubercolosi, il male per antonomasia del XIX° e XX° secolo, ha stimolato le menti e gli strumenti di decine di architetti che, in Europa come nel resto del mondo, si sono entusiasmati di fronte alla sfida accattivante di rispondere ai necessari criteri di funzionalità di una struttura dalle esigenze e dalle caratteristiche peculiari, senza mai venire meno al benessere psicofisico dei degenti, altrettanto bisognosi di cure lunghe e particolari.
Le strutture sanatoriali: dal Novecento al Postmoderno
Le prime riflessioni costruttive e di ordine esegetico interessarono il dibattito architettonico della Vienna di primo Novecento, intrisa delle idee della secessione: Joseph Hoffmann, padre spirituale e ispiratore del movimento, fu tra i primi a dibattere sul tema sanitario, dando luogo e vita alla celebre struttura di Purkersdorf (1903). Inizialmente utilizzato come centro di lunga degenza per malati psichiatrici e tornato oggi, dopo un lungo restauro, alla funzione di centro per anziani, conserva, nelle forme epurate e nella favorevole posizione immersa nel verde, lo spirito di anonimato fortemente voluto dall’architetto. La volontaria cancellazione della memoria e dei ricordi legati alla forma e alla materia avrebbe infatti favorito una migliore attività neuronale dei particolari abitanti dell’edificio.
Preceduto dall’esempio monacense dell’architetto August Endell, autore del sanatorio nell’affascinante isola di Wyk auf Föhr (1898), il centro ospedaliero viennese si inscrive pienamente nella pletora di edifici destinati agli spazi terapeutici che rispondono alle consapevolezze proprie del costruttore, assumendo il carattere di veri e propri strumenti al servizio della medicina, ma allo stesso tempo reinterpretati rispettando le esigenze dei pazienti. Il filone olandese legato al Movimento Moderno vede protagonista il celebre sanatorio di Zonnestraal in Hilversum, capolavoro del 1928 degli architetti Jan Duiker e Bernard Bijvoet.

Anche in questo caso, la reiterazione dei blocchi edilizi e la sottrazione completa degli elementi decorativi e ornamentali non ne fanno solo un esemplare e icastico modello di architettura moderna, ma rispondono a precisi criteri funzionali tipici di una struttura sanatoriale. Gli stessi tenuti in conto nel capolavoro finlandese di Alvar Aalto e della moglie Aina: il sanatorio di Paimio (1929-1931). Dall’orientamento delle finestre ai moderni sistemi di ventilazione, fino all’attenzione all’esposizione solare, la struttura rimane un archetipo quasi insuperato di maestria artistica.

Non mancano gli esempi nostrani, in cui l’entusiasmo del vetro si trasforma in metafora etica di trasparenza e salute, nonché di indispensabile elemento tecnico, terapeutico e igienico. L’architetto Ignazio Gardella, proseguendo il lavoro del padre Arnaldo, rivoluziona il concetto di sanatorio nel complesso terapeutico ad Alessandria. Il dispensario antitubercolare (1929-1930), con chiesa annessa e rigidamente impostata per evitare la contaminazione tra uomini e donne, è quasi un piccolo villaggio autonomo, intriso di principi internazionali, ma soprattutto capolavoro del razionalismo italiano.
In particolare negli anni Trenta e lungo l’intero periodo dittatoriale, al moltiplicarsi degli organi assistenziali legati alla propaganda di Stato, aumentano in misura esponenziale le strutture ricettive sanatoriali: si pensi a Barvikha, la struttura di Boris Iofan per l’élite partitica moscovita (1929-1934), all’ospedale romano “Forlanini” di Eugenio Morbelli (1934), originariamente dedicato alla cura dei pazienti tubercolotici.
Architettura, salute e stile di vita sono da sempre stati considerati concetti assolutamente cruciali e primordiali, di cui l’arte e l’architettura si sono appropriati per risanare il corpo e lo spirito dell’uomo. In età moderna non si può prescindere dal moderno, sovversivo ed eterodosso insegnamento di Gordon Matta-Clark (New York, 1943-1978), artista e “anarchitetto”: dalla riorganizzazione genetica dei cassonetti pieni di spazzatura, alla poetica della sporcizia, dal concetto del riciclo allo scarto come rigenerazione, il batterio, da acerrimo nemico, diventa espediente funzionale positivo per un ripensamento totale della struttura abitativa e dell’architettura postmoderna.