La libertà può spezzare il cerchio. La via della trascendenza di Simone de Beauvoir
We can do it!, così inneggia un noto manifesto del 1943 a cura di Howard Miller. Noi, donne, possiamo farcela. È l’agnizione di sé, la presa di coscienza dei propri diritti. Diventare il soggetto attivo della propria esistenza, dire basta a una realtà che opprime la libera espressione della donna e genera in lei sensi di colpa.
Il movimento femminista è lo specchio della volontà di ottenere la parità tra i sessi, non la sviata visione della superiorità della donna, ma la lotta per l’uguaglianza di genere. Simone de Beauvoir è un’icona dell’emancipazione, una donna libera che scende in campo per sé e per le altre donne, per un ideale che le brucia nel petto.
La immaginiamo lì, seduta al suo tavolino al Café de Flore, probabilmente insieme al compagno Jean-Paul Sartre, mentre sorseggia una tazza di tè e prende qualche appunto. Simone ha la naturale capacità di riuscire a mostrare la cruda realtà della condizione della donna, senza riserve e senza reticenze, dando un calcio ai tabù e non avendo paura di far crollare le basi dell’ordine costituito.
L’importanza di intraprendere la via della trascendenza
La donna ha scelto la via dell’immanenza, accontentandosi di essere il secondo sesso, subordinata all’uomo e dimentica della propria libertà. Simone invita le donne a intraprendere invece la via della trascendenza, tentando di cambiare il mondo. Non siamo solo madri e mogli, ma esseri umani indipendenti e capaci di brillare di luce propria.
“Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna.” (Simone de Beauvoir, Il secondo sesso)
Simone de Beauvoir ha scelto di condividere la propria vita con Jean-Paul Sartre, ma non ne è mai stata eclissata. I due amanti camminano l’uno a fianco all’altra e si rispettano, riconoscendosi liberi e autonomi. Non è forse questa la vera essenza dell’amore? Due persone che sanno di poter vivere naturalmente anche senza l’altro, sono coscienti di avere una propria personalità ed esistenza, ma scelgono ugualmente di condividere i loro giorni.
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La scrittrice non sta entro i limiti del politicamente corretto, esce dai bordi e non si lascia opprimere dalle regole borghesi. Non solo parole, ma anche e soprattutto fatti. Nel 1974 presiede la Lega di Diritti delle Donne e si batte in prima linea per una rivoluzione copernicana che ancora oggi non è stata compiuta. Siamo libere, ma sappiamo davvero di esserlo?
Le donne sono ancora oppresse perché hanno scelto di esserlo: una provocazione che però profuma di verità. Quando decidiamo di non avere il coraggio di difendere la nostra individualità, quando stiamo zitte di fronte alle ingiustizie e alle violenze, quando scegliamo di non agire, diventiamo parte del problema, diventiamo immanenti.
Je me suis faite avorter, il Manifesto delle 343
Attivista convinta, Simone non ha timore di dare una voce a chi non viene solitamente ascoltato, di sembrare anche scomoda in una realtà sessista e atavica, di difendere la propria libertà. Neanche l’Indice dei libri proibiti ferma il suo progetto, gli ideali sono a prova di bomba. Sessualità, divorzio e aborto sono solo tre dei tabù che Simone prova ad abbattere.
Il 5 aprile 1971 la rivista Nouvel Observateur si fa terreno fertile per seminare libertà. La scrittrice pubblica il Manifesto delle 343, in cui insieme ad altre donne ammette di aver avuto un aborto, considerato un reato, esponendosi così pubblicamente alle possibili conseguenze penali. Una lotta non violenta di disobbedienza civile, un segno tangibile della via della trascendenza, la decisione di diventare il cambiamento che si vuole vedere nel mondo.
“Ogni anno in Francia, abortiscono un milione di donne. Condannate alla segretezza, sono costrette a farlo in condizioni pericolose quando questa procedura, eseguita sotto supervisione medica, è una delle più semplici. Queste donne sono velate, in silenzio. Io dichiaro di essere una di loro. Ho avuto un aborto. Così come chiediamo il libero accesso al controllo delle nascite, chiediamo la libertà di abortire.” (Simone de Beauvoir, Manifesto delle 343)
L’emancipazione femminile sarebbe utile anche per l’uomo?
Siamo nati e cresciuti con l’idea del pater familias che lavora per mantenere la moglie e i figli, un uomo tutto d’un pezzo, mai debole, mai indifeso, mai davvero umano. A lui si affianca la visione della madre come ancella del focolare domestico, custode della casa, pregna di fragilità.
Intraprendendo la via della trascendenza, Simone ci insegna a scombinare i pezzi e ricostruire il puzzle dell’esistenza. La donna è libera di essere sé stessa, di scegliere o meno la maternità, di lavorare e di vivere la propria vita indipendentemente dalla figura maschile. La donna diventa pertanto deus ex machina della propria realtà, trova in sé il coraggio che ha tenuto latente per anni, camminando nella via dell’immanenza.
La vera emancipazione è un risveglio da un lungo letargo che permette di rompere le catene di una prigione in cui anche l’uomo si è rinchiuso. La parità tra i sessi porterebbe quindi a scardinare l’idea arcaica del maschio alpha, ridando dignità alle fragilità umane e permettendo all’uomo di mostrare la propria umanità. Tra le vittime del maschilismo ci sono quindi anche gli stessi uomini.
Imbrigliati nelle regole del passato, oppressi da un retaggio culturale che li ha mitizzati e non permette loro di essere liberi, si sono ritrovati lungo la via dell’immanenza. L’emancipazione è pertanto una lotta condivisa, lo sapeva bene Jean-Paul Sartre che ha scelto di intraprendere la trascendenza, camminando a fianco di Simone de Beauvoir.