Danise, eroe invisibile di una nazione dimenticata

Gianluca Danise fa parte di quella immensa schiera di persone definite da Esiodo «stirpe (…) più giusta e migliore, razza divina di eroi, che sono chiamati semidei». Eroi invisibili, che procedono a testa alta nella vita, veri, imperfetti, attaccati alla realtà con i denti.
Primo maresciallo incursore dell’Aeronautica Militare, moltissime le missioni all’estero, in Kosovo, Albania, Eritrea, Afghanistan, Gibuti e Iraq. E proprio in Iraq i suoi occhi non solo hanno visto i corpi straziati dei suoi diciannove colleghi, uccisi nell’attentato terroristico di Nassiriya del 12 novembre 2003, ma hanno anche guidato le sue mani mentre ricomponevano i corpi. Quaranta gradi la temperatura percepita all’ombra, un’attenzione umana per ridare padri, mariti, fratelli e amici ai propri cari.
Ora i suoi occhi non vedono più, è morto martedì sera a quarantatré anni, in un ospedale a Verona dove era ricoverato per un cancro. Per Domenico Leggiero, dell’Osservatorio Militare, Danise sarebbe la vittima numero 321 dell’uranio impoverito. Una denuncia che solleva una questione annosa, di troppi militari morti con il fondato sospetto che la causa sia l’esposizione all’uranio impoverito proprio nelle missioni estere. Lunedì era morto un altro soldato di Avellino.
Per Danise l’incarico fatale sembra essere stato quello in Kosovo, dove si sarebbe sviluppato il tumore alle ossa dal quale non si è più ripreso. Illuminanti a proposito le sue parole: «Vedevamo gli americani e ci chiedevamo perché girassero bardati a quel modo. Sembravano marziani. Sembravano personaggi di quei film tipo Virus. Avevano attrezzature per maneggiare i materiali di cui noi non disponevamo. Non ci siamo mai chiesti perché loro fossero così equipaggiati, pensavamo fossero loro a esagerare. Dopo il Kosovo, al rientro dalla seconda missione che ho fatto in Eritrea, cominciai a leggere i giornali e mi si gelò il sangue. Era l’epoca in cui si iniziava a parlare dell’uranio impoverito. Speravo di non essere tra gli sfortunati. Invece nel 2010 è toccato anche a me. È partito tutto da un mal di orecchie e mi si è stravolta la vita».
Marito di Stefania e padre della piccola Marjan, di un anno solamente, ha lottato strenuamente per non arrendersi ad una malattia che gli stava togliendo forze e capacità di fare anche le cose consuete. Dall’essere un «falco blu», un incursore specializzato nei raid negli aeroporti e negli aerei allo scopo di liberare gli ostaggi, si era ritrovato a sentirsi una nullità, salvato soltanto dall’affetto costante e profondo di chi aveva accanto, la moglie: «Soffro perché mia moglie mi coccola ed io a volte sono freddo ma ho mille pensieri che mi turbano la mente. Soffro perché sono troppo spesso senza forze e questo mi abbatte moralmente, non sono quello che vorrei essere. Soffro per la caduta dei capelli. Soffro perché i vestiti mi vanno larghi, non mi piaccio. Soffro perché non riesco ad andare al supermercato perché ho voglia di mangiare cose che non posso e non potrò mai più assaporare. Soffro perché non riesco a praticare dello sport, adoravo la bici, le maratone e le mezze, il combattimento corpo a corpo, le immersioni e i lanci. Soffro perché non riesco a fare delle semplici passeggiate perché i dolori subentrano e in più mi stanco. Soffro perché i denti mi fanno male e si cariano a causa delle terapie. Ho paura di morire e non poter dare un futuro a mia moglie e a mia figlia… Ho paura di morire prima di aver sistemato la maledetta burocrazia militare e civile… Ho paura di non avere abbastanza disponibilità economica per curarmi, ma a maggior veduta mi preoccupa dovermi curare e togliere i soldi alla mia famiglia, ma fino a quando avrò aria nei polmoni non mollerò».
Dal suo blog le parole scorrono e ci rendono un uomo intatto nei desideri e nelle passioni, che «non ha mai smesso di credere nei valori di un soldato pur capendo che non sono gli stessi dei generali che avrebbero dovuto tutelarlo», come ricorda Domenico Leggiero. Infatti le sue ultime volontà sono state di venir seppellito in divisa, avvolto nella bandiera italiana, inoltre «Gianluca ha voluto lasciare anche un pensiero agli altri cinque commilitoni che, come lui, si stanno preparando a lasciarci, anche loro, per quel terribile cancro causato dall’esposizione all’uranio impoverito le cui responsabilità, quelle sì, resteranno l’ennesimo mistero di un’Italia degna di uomini come Gianluca ma anche ricca di misteri che ne offendono la storia». Un uomo speciale, continua Leggiero: «Tutti sono speciali, tutti hanno un significato particolare, tutti muoiono per colpe di qualcuno che non può pagare. Gianluca però aveva delle peculiarità: in vita ha fatto quasi tutte le missioni ed i teatri in cui i nostri militari sono stati impegnati, faceva parte di corpi speciali ed è stato tra le pochissime persone che hanno saputo attrezzare, preparare e ricomporre a 40° all’ombra i corpi dilaniati dei colleghi a Nassiriya evitando di far rientrare in Italia bare con ingannevoli ed offensivi pesi. Gianluca è stato l’unico militare malato a causa dell’uranio impoverito che ha ricevuto una telefonata personale dal Ministro Della Difesa. (…) Solo un anno fa si godeva i primi giorni di vita della sua principessa appena nata e riusciva a pensare anche al futuro esorcizzando il presente o il futuro prossimo. Umiliato ed offeso dalle Istituzioni, Gianluca non è riuscito neanche ad ottenere il diritto alla sua pensione giustamente maturata».
Attenzione però, come avvisa Calvin Coolidge (30º presidente degli Stati Uniti d’America) «la nazione che dimentica i suoi eroi sarà essa stessa dimenticata».