Processo Breivik: ”Obiettivo era uccidere tutti”

“Il piano era di decapitare Gro Harlem Brundtland mentre io leggevo un testo. la cosa sarebbe stata filmata. L’obiettivo non era uccidere 69 persone, l’obiettivo era uccidere tutti”.
Queste le parole di Anders Behring Breivik, autore della strage di Oslo e Utoya dello scorso 22 luglio, 77 persone uccise, che durante il processo, iniziato qualche giorno fa, ha dichiarato che era sua intenzione catturare e decapitare l’ex primo ministro laburista Gro Harlem Brundtland che doveva tenere quel giorno un discorso proprio sull’isola d Utoya.
In questi giorni Breivik non ha dimostrato pentimento, la sua non è pazzia ma mancanza di coscienza, è estraniamento dalla realtà comune, quella che regola il vivere civile.
È entrato in aula con il braccio destro alzato, ha pianto solo nel rivedere quanto da lui compiuto ma non per pentimento, bensì perché per lui quelli sono bei ricordi ed infine ha chiesto la pena di morte: diventare martire per portare avanti la sua causa. L’allarme non si ferma al gesto compiuto ed a quelli che sta compiendo ma si espande a macchia d’olio sul web. Non poche settimane fa il gruppo antirazzista britannico “Hope not Hate”, aveva pubblicato un report nel quale sono stati catalogati ben 133 gruppi, che tra Usa ed Europa, preparano la crociata antijihadista e inneggiano allo stragista di Oslo. Per non parlare di altre persone che spinte dalle sue stesse convinzioni hanno compiuto atti simili. È recenti il ricordo della strage di Tolosa davanti alla scuola ebraica, o quella di Firenze dove un uomo aveva ucciso (quattro mesi fa) quattro senegalesi e come non ricordare nello stesso giorno, stessa ora, un’altra simil strage, quella avvenuta ancora una volta in Francia a Liegi dove un uomo a sparato e gettato granate sulla folla.
Il processo a Breivik deve ricordare prima di tutto che queste sono malattie dell’anima molto gravi, che hanno bisogno di esser curate e non emergiate e lasciate crescere pericolosamente. Cesare Beccaria nel “dei delitti e delle pene” ricorda un concetto spesso dimenticato: la formazione non deve mai aver fine, le prigioni non dovrebbero esser luoghi dove detenere persone estraniate, far passare del tempo e magari liberarle, ma dovrebbero esser luoghi di riflessione e cambiamento.
Ciò può esser dell’utopia in queste parole ma intanto crescono gruppi di fanatici estremisti pronti a seguire le orme di falsi profeti. La crisi che stiamo vivendo ha anche di queste ripercussioni, non solo economiche, se la cultura (intesa come mezzo per innalzare la propria coscienza e conoscenza del mondo, dell’umano e dell’umanità) fosse veicolata diversamente allora forse certi fenomeni potrebbero venir arginati sul nascere.
Enrico Ferdinandi
20 aprile 2012