Primo caso di Ebola in Mali: morta bimba di due anni
KAYES, MALI — È ufficiale il primo caso di Ebola in Mali. Si tratta di una bambina di due anni messa in quarantena e poi morta all’ospedale di Kayes, nel sud-ovest del Paese, dopo essere rientrata da un recente viaggio in Guinea con una parente. Già venerdì il Ministero della Sanità di Mali aveva confermato il contagio dopo la notizia di un caso sospetto. La bimba ha attraversato diverse città a bordo di mezzi pubblici nel suo viaggio di ritorno dalla Guinea, dove si era svolto il funerale di un genitore. L’allerta è quindi massima e dopo la scoperta del caso sono numerose le persone identificate, poste in isolamento e trattate secondo le procedure previste, perché in diretto contatto con la piccola e quindi potenzialmente esposte al contagio (tra queste dodici familiari e undici operatori sanitari). Il medico Toumani Konare, dirigente dell’ospedale regionale di Kayes, non crea allarmismi ma assicura che «al momento stanno tutti bene. Non sono apparsi sintomi fra le persone in isolamento».
Le autorità locali stanno cercando di rintracciare chiunque possa aver incontrato la bambina durante il tragitto che l’ha vista passare da Keweni, Kankan, Sigouri, Kouremale e Bamako, capitale di Mali, con una sosta di due ore, prima d’arrivare alla diagnosi della malattia fatta a Kayes. Il Mali era stato messo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nella «lista rossa» dei Paesi ad elevato rischio di diffusione del virus proprio a causa del suo esteso confine con la Guinea, Paese tra i più colpiti, insieme alla Liberia e alla Sierra Leone. In Mali erano quindi già presenti esperti dell’OMS per un eventuale caso importato, ma ad essi si aggiungerà una equipe supplementare per gestire in modo più veloce tutte le operazioni necessarie: epidemiologia, ricerca di contatti, gestione clinica, logistica e mobilitazione sociale. Fortunatamente il caso della bambina è stato subito trattato come un’emergenza perché i sintomi della malattia, come le perdite ematiche dal naso, erano già evidenti.
Per l’OMS «la massima vigilanza è essenziale» per una malattia che attualmente è stata diagnosticata ad oltre diecimila persone e che ha portato il numero dei decessi ormai a quasi cinquemila.
Il presidente americano Barack Obama continua a seguire la linea della rassicurazione, ribadendo la prontezza del personale medico di New York nel reagire rapidamente per isolare e prendersi cura di Craig Spencer, medico tornato di recente dall’Africa, volontario di Medici senza frontiere in Guinea per assistere i malati di Ebola: «L’Ebola non si prende facilmente. Non ci si ammala con il contatto casuale di una persona. L’unico modo è il contatto diretto con i fluidi corporei di qualcuno che ha i sintomi. Dobbiamo farci guidare dalla scienza, dai fatti e non dalla paura», esortando a seguire l’esempio dei newyorkesi che con spirito e determinazione «hanno fatto quello che fanno tutti i giorni: preso il bus, la metropolitana, sono andati al lavoro», facendo presente inoltre che i sette americani contagiati finora sono tutti guariti. Obama afferma che «dobbiamo lavorare insieme, a livello federale, statale e locale» per guidare la risposta globale perché il modo migliore per fermare il virus è quello di contrastare l’Ebola alla fonte, in Africa Occidentale.
Paola Mattavelli
25 ottobre 2014