Kissinger, l’uomo che agiva da solo
Henry Kissinger è morto all’età di cento anni: come l’ex Segretario di Stato americano di Nixon e Ford ha cambiato il mondo
Lo studioso
1955. New York. Evento della Fondazione Rockefeller. Il magnate Nelson Rockefeller scova un professore di Harvard al Dipartimento di Affari Internazionali: uno studioso di equilibri politici e meccanismi di pace del periodo post-napoleonico, con un interesse specifico nelle figure di Castlereagh e Metternich. Henry (nato Heinz) Kissinger. Il professore di Fürth entra così nei meccanismi di potere americani, un ingresso dalla porta principale, senza far agitare troppo le acque. Dopo quell’evento, (un seminario alla presenza di svariati istituti di cultura e organismi governativi per esaminare problemi di politica internazionale) il miliardario americano Rockefeller, stretto collaboratore del presidente Eisenhower, presenta quest’ultimo a Kissinger. Dapprima direttore degli studi speciali alla Fondazione Rockefeller, poi, effettivamente nella squadra del Presidente americano nel ruolo di consulente alla presidenza. A tre anni dal primo incontro, la figura di Kissinger sale alla ribalta: dopo la pubblicazione di Nuclear Weapons and Foreign Policy, un libro bestseller, che richiamò su di lui l’attenzione di politici, giornalisti, addetti ai lavori e tutti coloro che si occupavano, in qualche modo, dei problemi strategici del potere americano nel periodo della Guerra Fredda, Kissinger iniziò una proficua collaborazione con Lyndon Johnson che lo porterà dapprima in Vietnam per verificare l’attendibilità dei rapporti della CIA e, successivamente, a scrivere fondamentali relazioni dettagliate per cercare di togliere, senza successo, la presidenza Johnson dal pantano di una guerra che si sarebbe protratta per vent’anni.
Il diplomatico
E poi l’occasione. 1968. Kissinger, ormai affidabile figura di rilievo della politica internazionale, diviene consigliere per Nixon. Lo sfidante alla convention di Miami per decidere il candidato repubblicano in vista delle elezioni di novembre era proprio Rockefeller, che ne uscirà, però, sconfitto. Fu una delle campagne elettorali più drammatiche nella storia degli Stati Uniti: in aprile, a Memphis, era stato assassinato Martin Luther King, a giugno la stessa sorte sarebbe capitata a Robert Kennedy, plausibile candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti. Kissinger, con Nixon presidente, diviene dapprima Consigliere per la sicurezza nazionale e poi, successivamente, Segretario di Stato (carica che manterrà anche con il successore Ford). Con il professore di origine tedesca sarebbe nata, di lì a poco, la teoria della “guerra limitata”, del linkage, del cosiddetto “negoziato permanente” per mantenere un equilibrio mondiale, che avrebbe sostituito definitivamente il containment che, invece, aveva caratterizzato i primi anni di Guerra Fredda. “Non può esserci pace senza equilibrio di forze” e “Ciò che mi interessa è quello che si può fare con il potere”, disse Kissinger in una famosa intervista a Oriana Fallaci. Era necessaria, pertanto, una diplomazia nuova, agile e dinamica, che costringesse a una convivenza internazionale, resa indispensabile per evitare il rischio di una guerra atomica che nessuno voleva, in verità, combattere. Nixon era ben consapevole che Kissinger fosse quello affascinante, mondano, il diplomatico ci metteva il garbo e la rispettabilità da intellettuale. Tutte qualità che Nixon, in verità, disprezzava, ma, al contempo, bramava perché capiva gli fossero necessarie per continuare la sua presidenza. Ecco perché, probabilmente, i due funzionavano e si incastravano, politicamente parlando, in maniera quasi perfetta.
Il politico divisivo
La figura del politico e del diplomatico americano più influente dell’ultimo periodo è controversa, molto divisiva e di difficile catalogazione. Per i suoi metodi, talvolta spregiudicati, di politica estera, è ben noto che si rese protagonista attivo nel golpe cileno che porto alla morte del presidente democraticamente eletto Salvador Allende e all’instaurazione del regime autoritario di Augusto Pinochet. Sempre nel 1973, con l’Europa coinvolta nel vortice della razionalizzazione imperiale, negoziò la fine della Guerra del Kippur, che pose le premesse per un successivo riavvicinamento fra Stati Uniti ed Egitto e della pace fra Egitto e Israele che lo porterà ad essere insignito di un Premio Nobel molto discusso, soprattutto in ambito accademico e intellettuale (ben note le parole dello scrittore e giornalista cileno Luis Sepúlveda: “Henry Kissinger: un criminale di guerra che può vantare il Nobel per la pace.”).
Uscito indenne dal Watergate, nell’ultimo periodo della sua attività politica, diede l’approvazione all’invasione di Timor Est, con la conseguente invasione indonesiana e l’occupazione per 24 anni che provocò la morte di più di centomila di persone, nonché un sostegno alle forze politico-militari anticomuniste sia in Angola che in Mozambico.
Negli ultimi vent’anni, il cosiddetto realismo kissingeriano (in realtà non si è mai definito apertamente un “realista” e rifiutava di essere associato alla realpolitik) da realtà consolidata è diventata più un mito (come dice un articolo del New Yorker che lo ricorda). Kissinger preferì spesso il bastone alla carota e gli Stati Uniti ne saranno sempre debitori: un uomo che con la missione Marco Polo, praticamente in solitaria, generando attorno a sé diversi malumori, fu l’architetto del riavvicinamento sino-americano che lo portò a riallacciare i rapporti, in piena Guerra Fredda, con Pechino. “Un gigante della democrazia” si legge nei media di tutto il globo, forse. Un uomo, che da profondo studioso di Metternich, ha contribuito certamente a valorizzare e salvaguardare, secondo una sua visione, il mondo occidentale per come lo conosciamo oggi, meglio. Di certo, una meravigliosa storia in salsa americana.
“Io ho agito da solo, a loro è piaciuto questo […]. Agli americani piace l’uomo che entra solitario a cavallo nella città, come nei western”.