La palingenesi del simbolo in Ultima Generazione

Il cenacolo
Pochi giorni fa è stato fermato un blitz di Ultima Generazione il cui obiettivo sembrava essere riempire con del colorante scuro la fontana del Nettuno di Bologna.
Non è il primo tentativo di sporcare monumenti e opere d’arte in modo grafico, o di pratiche simili. Quasi un anno fa, nella pinacoteca di Bologna, operarono in modo simile, ricoprendosi di sangue finto e scrivendo su una parete. Il caso che ha avuto più risonanza è stato forse il lancio di una zuppa contro il vetro protettivo del celebre Il Seminatore di Van Gogh. Anche la porta di Brandeburgo, pochi giorni fa, è stata soggetta a atti simili.

I motivi che muovono gli autori di tali atti sono legati alle preoccupazioni riguardanti l’attuale cambiamento climatico: tali gesti scenici non limitati al solo attacco delle opere d’arte, sono una voce di protesta nei confronti dei problemi ambientali che sembrano attualmente sottovalutati. Rappresentato sempre più spesso come in grave pericolo, questi gesti hanno l’obiettivo ultimo di salvare il futuro tramite l’azione di una forza pacifica. Infatti, i membri, sul loro sito indicano Ultima Generazione come un movimento di ribellione e di resistenza per la salvaguardia del mondo e del futuro.
Presenza
Le azioni prese in causa di attacco a monumenti e opere, presentano un carattere di ritualizzazione della risposta violenta. Di fronte a un evento percepito come apocalittico, l’individuo non si percepisce come in grado di agire perché la sua capacità di azione è delegata alle grandi forme istituzionali, viste come responsabili dal movimento di Ultima Generazione. La riparazione è infatti richiesta dagli attivisti al Governo italiano e alle multinazionali che lavorano con le risorse fossili. Ciò che un individuo può fare, in un momento in cui la sua possibilità di agire in grande è delegata, è sollecitare l’azione dei suoi delegati. Le forme istituzionali in queste occasioni vanno oltre gli individui che la compongono: la capacità di azione è delegata all’intera istituzione, che trascende i membri che la compongono in un dato momento.
Quando la semplice sollecitazione sembra venire ignorata e il problema su cui intervenire è percepito come enorme, la via di uscita è vista nella ribellione. Queste azioni sembrano quindi azioni di rottura.

Se il potere d’azione è delegato a dei simboli che trascendono la singolarità dei loro componenti e in tal modo si giustificano come forme naturali, la sollecitazione violenta agirà contro dei simboli. Nello sporcare monumenti e quadri, non si stanno attaccando lavori umani, ma simboli culturali. Il lancio della zuppa contro Il Seminatore trivializza l’opera d’arte, perché avvicina qualcosa percepito come prodotto unico/culmine dell’intelligenza umana a un elemento quotidiano meramente funzionale. La vernice sulla porta di Brandeburgo viola l’integrità del simbolo. Sono azioni che attaccano il simbolo nella stessa simbologia: Il Seminatore è simbolo di bellezza superiore, che viene imbrattato dalla zuppa non in quanto tale, ma in quanto elemento bassamente funzionale, legato alla triviale gola; unendo le due cose, il quadro perde trascendenza e la violenza è fatta.
Gli oggetti usati dai manifestanti evitano di danneggiare i simboli: le vernici sono lavabili, la zuppa è scagliata contro il vetro che protegge il quadro, non contro il quadro stesso; anche l’affronto è simbolico. Non viene attaccato il quadro in sé come oggetto, ma ciò che il quadro rappresenta. Ripulito il monumento, le tracce di violenza sono scomparse sul piano fisico; ritualizzata, diventa sintomo di resistenza, non più di ribellione. E se la resistenza è una forma di contenimento piuttosto che di rivolta, l’atto ribelle è inserito in un contesto rituale che non rompe con la società, ma lo depura e lo reinserisce.
Articolo a cura di Davide Paolacci