Caro spiagge: il mare fuori è quasi un lusso

Andare al mare costa sempre di più, lo dimostra il caro spiagge su beni e servizi, dai lettini a cibo e bevande. In media, una famiglia spende 110€ per una giornata al mare. Il problema non può che essere collegato a quel mistero che è il sistema delle concessioni demaniali.
Il caro spiagge
Se non è il caldo a causare capogiri, ci pensano i listini degli stabilimenti balneari.
Per Codacons i prezzi sono aumentati del 13,4% rispetto all’anno scorso.
Tra le mete meno peggio troviamo Riccione e Viareggio. Salendo di prezzo, c’è poi la Sardegna, Gallipoli, fino ad arrivare al Salento, dove un gazebo tocca i 1000 €.
Ma non si parla solo di caro lettini o caro ombrelloni, salgono infatti anche i prezzi di cibo e bevande (+10%), per non parlare poi di alberghi e trasporti.

La metà delle spiagge italiane è in mano a privati, anche se da Bruxelles si è tentato più volte di smussare gli angoli.
Con la direttiva dell’Unione Europea 2006/123/CE, anche detta “direttiva Bolkestein”, le concessioni a privati dovrebbero avvenire solo dopo gare pubbliche, per favorire la concorrenza.
Le mille e una proroga
Ma in Italia rimane la minaccia dei gestori degli stabilimenti, esseri quasi intoccabili, mentre la pressione delle lobby fa in modo che la Bolkestein venga puntualmente rimandata, inasprendo il caro spiagge.
In tutto ciò, è cruciale anche la non-scelta del governo: il decreto milleproroghe.

Ignorando le precedenti disposizioni del Consiglio di Stato, le gare che dovevano avvenire a dicembre 2023 sono state rimandate al 2024.
Quale delle due pronunce ha effettivamente valore? Quella amministrativa o quella governativa? Regna la confusione, aggravata dal fatto che alcune amministrazioni locali stanno già disapplicando il decreto milleproroghe, scatenando non poche diatribe interne.
Le concessioni demaniali
Il paradosso dei beni demaniali vuole che questi appartengano ad enti pubblici territoriali (Stato, Regioni, Province, Comuni) e che non siano alienabili in nessun modo.
Tali beni sono infatti destinati all’uso diretto dei cittadini, ma le cifre esorbitanti, come quelle imposte dai privati sui beni demaniali marittimi (modo articolato per chiamare le spiagge), stracciano la regola.

Al problema del caro spiagge se ne sovrappongono altri. Il primo è il meccanismo di rinnovo automatico delle concessioni (ogni 6 mesi), il secondo è il cosiddetto diritto di insistenza (art 37 del codice della navigazione). Quest’ultimo afferma che, a parità di condizioni tra gli aspiranti titolari, si privilegia il titolare uscente.
C’è poi il fatto che i canoni in capo ai concessionari, se vengono pagati, sono molto bassi se comparati al giro di affari che raggiunge i 15 miliardi di euro.
Ergo: la precedenza va sempre ai soliti, non c’è alcun ricambio dei proprietari, il sistema si rafferma.
E io pago
Chi dà la colpa alla signora inflazione, chi va a caccia di spiagge libere e insalate di riso.
Non è servito a molto l’ultimo tavolo interministeriale, che ha solamente confermato la proroga al 2024, per facilitare il processo di mappatura delle concessioni (ovvero il conteggio delle spiagge occupate e di quelle che possono essere concesse).

L’UE viene di nuovo ignorata e manca una riforma organica del settore balneare da parte del governo, tanto richiesta dal Sindacato italiano balneari.
Ironico, se pensiamo che tutto ciò avviene in un paese abbracciato dal mare, a destra e a sinistra, un bene che dovrebbe essere libero, specie in tempi in cui viaggiare è un sacrificio.