Pride 2023: la Regione Lazio revoca il patrocinio alla manifestazione a Roma

Il Presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, dopo una prima concessione, ha revocato il patrocinio al Roma Pride 2023 per via del persistente scontro sull’utero in affitto. La kermesse avrà ugualmente luogo con mezzi di supporto propri domani, ma sarà mossa dalla stessa gioia?
Nessuna scusa
È del 6 giugno il post del Roma Pride, che in stampatello dichiara: “NESSUNA SCUSA”.
Ma di quali scuse si parla? “Mi ero raccomandato di non rivendicare posizioni che potessero essere lesive della morale comune”, spiega il governatore del Lazio Francesco Rocca.
La causa delle revoca sarebbero infatti le mancate scuse di Mario Colamarino (Presidente del Mario Mieli e portavoce del Roma Pride) nei confronti della Regione, per via della “strumentalizzazione e la manipolazione” legata al tema dell’utero in affitto. Manipolazione ampiamente negata da Colamarino, che ha parlato di una semplice “richiesta formale” (con successiva concessione del patrocinio), rifiutata in un secondo momento, nonostante il Pride presenti “le stesse istanze da anni”.

“Reati universali, comportamenti illegali“
A dare il “La” è stata l’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus, affermando che il patrocinio sarebbe stato il sintomo di una “schizofrenia” del centrodestra.
In seguito, il portavoce dell’associazione Jacopo Coghe si è congratulato con la scelta della Regione, sfuggita alla “trappola dei pregiudizi ideologici” e dei comportamenti illegali, riferendosi alla controversa questione dell’utero in affitto.
Per il padre dello sfortunato disegno di legge che avrebbe preso il suo nome, Alessandro Zan (Pd), la natura della schizofrenia è un’altra, ovvero “l’odio e la discriminazione” portati avanti dalla maggioranza.
Dal canto suo, il sindaco Roberto Gualtieri ha garantito il supporto del Campidoglio, nonché la sua presenza al Pride.

Gli effetti del “giro di valzer”
“È il Roma Pride che pretende le scuse”, questo il grido unito della manifestazione, che accusa il passo indietro compiuto dalla “pavida” Regione Lazio e che si chiude con l’ultimatum “Noi o loro?”.
Non si capisce come sia avvenuto questo passo indietro, né quale benda abbia accecato la Regione, impedendole di recepire chiaramente (e da subito) la richiesta formale del Pride.
Non si avrà un Pride tranquillo, questo è certo.

Il cambio di rotta intrapreso negli ultimi mesi dall’esecutivo non può che stonare con lo spirito della manifestazione. Il Pride (si noti, non più “Gay” Pride) porta il peso degli eventi di Stonewall Inn (28 giugno 1969), ma non sulle spalle, come una bandiera.
Pride vuol dire orgoglio, nello specifico per un bagaglio di diritti conquistato nel tempo, ma che è ancora incompleto.
Una volta che si è raggiunto questo stadio di libertà, una volta che il Pride riesce ad occupare l’intero mese di giugno, non si accettano metonimie. Non si accetta che si prenda la parte (l’utero in affitto) per limitare il tutto (il Pride). L’esito più logico sarà una manifestazione mossa dalla rabbia e non più dalla gioia.