La prossima guerra evitabile: la Cina e le prove d’invasione a Taiwan

Un riconoscimento d’indipendenza molto problematico, poca collaborazione e rischio di escalation: così Taiwan rischia di essere assorbita dalla Cina.

“Il luogo più pericoloso del mondo”
Un titolo di qualche anno fa del settimanale The Economist ha definito Taiwan come “il luogo più pericoloso del mondo”. Sia per i fortissimi interessi della Cina nei suoi confronti, sia perché le riforme attuate dal governo nazionalista di Taiwan negli anni Ottanta e Novanta hanno trasformato lo Stato da monopartitico (de facto controllato da coloro che avevano abbandonato la Cina), a uno Stato multipartitico e aperto anche alla popolazione originaria dell’isola. È qui che verte tutta la problematica che dal 1971 colpisce Taiwan: uno Stato su cui gettano gli interessi i grandi del mondo, soprattutto la Cina, che la considera alla stregua di una provincia appartenente al suo vastissimo territorio. I problemi, comunque, non sono soltanto legati ai rapporti con Pechino: un grandissimo numero di Stati (oltre alla stessa Repubblica Popolare Cinese, definita dagli autoctoni “continentale” in netta contrapposizione con quella che i cinesi definiscono “Cina ribelle”, ossia Taiwan) non riconoscono Taiwan e la sua capitale Taipei: l’ultimo Stato che ha annunciato di riconoscere un’unica Cina nella Repubblica Popolare Cinese è stato l’Honduras, le cui relazioni diplomatiche e commerciali si sono esaurite a fine marzo di quest’anno.

Perché Taiwan?
Ma perché questo grande interesse per uno Stato così “piccolo”? Forse perché, almeno a primo impatto, potrebbe sembrarlo, soprattutto dal punto di vista della superficie che occupa, ma l’ultimo censimento conta ben 24 milioni di abitanti, con la decima densità al mondo di abitante per km², con la sola Taipei che ha 2,5 milioni di abitanti. Da un punto di vista strettamente geopolitico, il governo taiwanese è deciso a non accettare alcuna proposta diplomatica cinese che possa limitare la sua libertà: in effetti, dopo l’emanazione della legge cinese antisecessione del 2006, alcuni esperti sono d’accordo nel sostenere che Taiwan corra il rischio di essere occupata dalla Repubblica Popolare Cinese, mentre altri sostengono che ciò non sia possibile per via della tradizionale protezione degli USA accordata a quest’ultima. Ma negli ultimi tempi, soprattutto fra i giovani taiwanesi, l’idea dell’occupazione di Taiwan da parte di Pechino è diventata più credibile a causa del continuo crescere in maniera esponenziale della potenza militare cinese nell’Estremo Oriente. Le conseguenze di un’eventuale occupazione cinese potrebbero portare a un grave deterioramento dei rapporti con gli USA e, quindi, anche con la NATO e, conseguentemente, gli alleati nell’Indo-Pacifico)
Crisi in peggioramento
Nessuno, comunque, sembra volere la guerra. Né la Cina (a differenza di quanto si pensi), né gli Stati Uniti che, ovviamente, nel caso, si schiererebbero dalla parte della Presidente taiwanese Tsai. La guerra stessa è chiaramente alla mercé di un incidente o di un’escalation indesiderata. Per Internazionale, lo scontro armato è ormai un’opzione assai realistica nel contesto di una crisi che presenta tutti gli ingredienti per un peggioramento nei prossimi mesi e nei prossimi anni, anche perché al momento sembra non esistere una buona soluzione e che possa accontentare tutti. La domanda che si chiedono tutti, però, è se la Cina sia disposta ad imbarcarsi in un’avventura militare geograficamente vicina a lei, soprattutto perché, a quanto pare, l’esercito cinese non sembra essere preparato a sufficienza ad affrontare uno spostamento così ingente di militari; almeno nell’immediato futuro. Pechino ha comunque altre possibilità ed opzioni prima di creare una vera e propria escalation militare. La scadenza cruciale è fissata per gennaio 2024, quando si terranno le elezioni presidenziali e legislative a Taiwan: Tsai, la presidente in carica, proveniente dal Partito democratico progressista (Dpp) storicamente favorevole all’indipendenza ma oggi più incline a mantenere lo status quo, non potrà ripresentarsi dopo aver completato il secondo mandato. La sfida, di conseguenza, sarà tra il suo vicepresidente Lai Tching-te e un candidato ancora da scegliere all’interno del principale partito d’opposizione, il Kuomintang, erede del generale Chiang Kai-shek (rivale di Mao) e più favorevole a un riavvicinamento con la Cina.