Contro le parole straniere: la proposta del Vicepresidente Fabio Rampelli

Fratelli d’Italia mette un freno alle parole straniere ma solo quelle “non indispensabili e traducibili nella nostra lingua”. Una scelta che ha scatenato non poche critiche, non solo tra i banchi dell’opposizione ma anche fuori dalla Camera, scatenando in breve tempo critiche sui social accompagnate da meme e campagne di comunicazione dei maggiori brand: sui social i loghi più famosi si sono “italianizzati” traducendo quindi il proprio nome in italiano. Una risposta ironica alla proposta di legge a prima firma del Vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli (FdI) sottoscritta da una ventina di deputati e presentata lo scorso 23 dicembre.
La Pdl Rampelli: i contenuti
Il testo, composto da 8 articoli, vieterebbe la trasmissione di qualsiasi comunicazione pubblica che non sia in italiano, introducendo l’obbligo di introdurre strumenti di traduzione o interpreti per ogni conferenza che si svolga nel nostro Paese e il divieto di usare sigle o denominazioni straniere per ruoli in azienda, a meno che non possano essere tradotte. La proposta si rivolge anche alle Università e ai vari istituti scolastici: i corsi in lingua straniera sono tollerati solo se in aula sono presenti studenti stranieri. Nel caso in cui si violino tali obblighi, le sanzioni oscillano tra i 5mila e i 100mila euro. Viene infine istituito un Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana. Una Pdl che secondo il primo firmatario avrebbe un ruolo “di salvaguardia nazionale e di difesa identitaria”. Ad oggi sono circa 9mila gli anglicismi presenti nel dizionario della Treccani su circa 800mila parole in lingua italiana. Per Rampelli quindi non è più ammissibile che “si utilizzino termini stranieri la cui corrispondenza italiana esiste ed è pienamente esaustiva”.
Le critiche: oltre l’opposizione
A criticare la proposta, oltre all’opposizione ci ha pensato anche il maggior rappresentante della nostra lingua: l’Accademia della Crusca. Stando alle dichiarazioni rilasciate dal Presidente Claudio Marazzini:
«la proposta di sanzionare l’uso delle parole straniere per legge, con tanto di multa, come se si fosse passati col semaforo rosso, rischia di vanificare e marginalizzare il lavoro che noi, come Crusca, conduciamo da anni allo scopo di difendere l’italiano dagli eccessi della più grossolana esterofilia, purtroppo molto frequente. L’eccesso sanzionatorio esibito nella proposta di legge rischia di gettare nel ridicolo tutto il fronte degli amanti dell’italiano»
Più o meno sulla stessa linea anche il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini:
«io non sono per le sanzioni. Se negli uffici pubblici parlano di briefing anziché di riunione, non è che li vado a multare. Lascerei la libertà di eloquio a chiunque, senza entrare con punizione negli uffici.»
Ad essere criticato poi è stato l’uso che l’attuale Governo fa della lingua inglese, nonostante la lotta agli anglicismi nella Pa, a cominciare da “Made in Italy” nome dato proprio al Ministero a guida Adolfo Urso e da “underdog” ovvero “sfavorito” usato dalla Premier Giorgia Meloni nel discorso d’insediamento.
Rampelli: “nessuna contravvenzione per i cittadini che usano parole inglesi”
In sua difesa Rampelli, che già nelle scorse legislature aveva provato ad istituire un Consiglio superiore in difesa della lingua, ha voluto specificare che i cittadini italiani che nel loro quotidiano fanno uso di parole inglesi non verranno multati ma che le sanzioni saranno indirizzate unicamente alla pubblica amministrazione, le grandi società e per chi ha compiti istituzionali perché “c’è un diritto di comprensione” specificando inoltre che:
«la proposta di legge non prevede contravvenzioni, né italianizzazione delle parole, né divieto per le aziende che portano l’Italia nel mondo e le realtà che operano per le eccellenze italiane continueranno ad essere Made in Italy.»
Il Ministero delle imprese e del Made in Italy è dunque esentato così come le aziende che fanno uso di questa parola. A sua difesa poi, il Vicepresidente della Camera ha dichiarato di essersi ispirato ad una legge omologa francese che difende la lingua.
Cosa dice la legge francese
La proposta di Rampelli contiene alcune misure che in Francia sono in vigore da circa 30 anni, ma ci sono delle differenze tra i due testi. La legge “Toubon” è stata approvata nel 1994 dal governo francese durante la Presidenza di Francois Mitterand (Partito socialista francese) su proposta di Jacques Toubon, Ministro della Cultura nel governo di centrodestra allora guidato da Edouard Balladur. L’obiettivo era sempre quello di ridurre il crescente utilizzo di termini inglesi nel Paese e assicurare il primato della lingua nazionale (in questo caso francese) in tutte le comunicazioni pubbliche. Quindi entrambe condividono l’intento di tutelare e promuovere la lingua nazionale. Anche in questo caso è previsto che ogni comunicazione pubblica avvenga in lingua francese, così come le pubblicità di prodotti e servizi. Ma in Francia i contratti di lavoro devono essere scritti in francese solo se riguardano un servizio pubblico. Anche con la legge Toubon si interviene nell’obbligo della lingua nazionale nelle scuole, negli esami universitari e nei concorsi pubblici, ma quest’ultimo è stato cancellato nel 2000. Una differenza significativa è anche quella delle sanzioni: nella legge francese si parla di “contravvenzioni di quarta classe” che come stabilito nel decreto del 1995 corrisponderebbero ad un massimo di 750 euro.
Al momento l’esame del testo presentato da Rampelli è solo agli inizi: il 31 marzo è stato assegnato alla Commissione affari costituzionali della Camera che non ha ancora iniziato l’esame e per diventare legge a tutti gli effetti la proposta dovrà ottenere il via libera da entrambe le camere.