Victim blaming: quando la donna non è solo la vittima

Sono donne, figlie, sorelle, mamme, zie, cugine, lavoratrici, studentesse alla ricerca della propria realizzazione. Hanno sogni, passioni, progetti, voglia di scoprire il mondo e di vivere la propria vita in modo felice. Sono capaci di scelte difficili, di andare controcorrente, di fare cambiamenti radicali anche quando questo vuol dire fare un salto nell’ignoto. E sono tutte vittime del victim blaming.
Il fenomeno
In inglese il verbo ‘to blame’ assume il significato di incolpare. Il fenomeno del victim blaming si realizza quindi quando la vittima di un femminicidio, di una violenza, di uno stupro viene ritenuta colpevole, anche solo in parte, dell’accaduto.
Questo termine si è cominciato a diffondere nel linguaggio comune quando si sono intensificati casi di femminicidi, atti violenti o di natura sessuale. Mano a mano che è passato il tempo, nel pubblico di fruitori di queste notizie si è fatta sempre più forte l’esigenza di trovare un modo per reagire al racconto di queste vicende, e la risposta è stata il victim blaming.
Purtroppo questa pratica si è molto diffusa, tanto che oggi non ci rendiamo conto di quanto questo fenomeno sia radicato. Quando vengono riportati i fatti , la cronaca infatti abbonda di frasi che tendono a giustificare, in modo più o meno esplicito, chi compie l’atto violento, puntando il dito verso fattori esterni o addirittura verso la vittima stessa. Il modo in cui i media raccontano l’accaduto, già fa capire cosa le persone percepiranno leggendo il singolo articolo.
La vittima, arriva così spesso e volentieri a vivere un secondo momento difficile, vedendo schierarsi attorno a sé un gran numero di persone che puntano il dito verso di lei. Questo porta spesso le persone che subiscono la violenza ad auto convincersi che forse, in piccola parte, la responsabilità di quanto accaduto possa essere anche la loro e che addirittura, non trovando nessuno dalla propria parte, non valga la pena nemmeno denunciare. Questo di certo aggrava le già grandi difficoltà che le persone che subiscono atti di questo genere devono affrontare.
È importante inoltre sottolineare come, quando in alcuni contesti c’è chi prende il coraggio di alzare la voce e affermare che – dati alla mano – statisticamente sono più gli uomini a commettere violenza nei confronti delle donne, c’è “un’impellente necessità di puntualizzare l’ovvio, ossia che non sono “tutti gli uomini” a commettere violenza. Dimenticando che non ammazzare, non stuprare, non picchiare, non controllare, è il minimo sindacale, non un merito particolare.”
Lo strumento dei media
È victim blaming quando si legge nei giornali la descrizione di com’era vestita la vittima in caso di stupri o violenze, chiaro modo per lasciare intendere che se non si fosse vestita così, il fatto non sarebbe successo; è victim blaming quando per descrivere l’aggressore si utilizzano frasi come “era una brava persona, un gran lavoratore, amava la sua famiglia” a giustificare il fatto che sia stato solo un raptus del momento, un evento raro; è victim blaming quando si legge “L’ha uccisa perché voleva lasciarlo”; è victim blaming quando si punta l’attenzione solo su elementi relativi alla vittima, e non a chi ha commesso l’azione. Anche quando si sceglie di servirsi delle testimonianze dei vicini di casa o dei colleghi di lavoro spesso e volentieri le frasi riportate sono volte a giustificare il comportamento della persona che ha commesso il crimine.
Ecco che allora la domanda che viene da porsi è perché si inneschi questo meccanismo per cui la persona, nella maggioranza dei casi una donna, viene giudicata per un atteggiamento che ha preceduto il fatto e non viene considerato solo l’atto violento in sé. Molti esperti concordano sul fatto che nell’opinione pubblica siano ormai fossilizzati ragionamenti che portano a pensare che le vittime non siano prive di colpe, perché se non si fossero comportante in un certo modo o vestite con un certo tipo di abiti, la situazione non si sarebbe mai verificata. In questo modo questo tipo di situazioni vengono normalizzate e in larga parte accettate.
Come già detto in precedenza, il victim blaming è un’ “[…] etichetta – che – nasce dal modo in cui il pubblico tende a reagire ad alcuni fatti di cronaca. […]Data la rapidità con cui vengono consumate le comunicazioni, i messaggi tendono ad essere sintetici ed estremisti, polarizzando il dibattito su due schieramenti contrapposti. Le opinioni tendono ad essere totalmente a favore di una parte o dell’altra, senza compromessi.”
Le opinioni
Ed è quello che si è verificato proprio la scorsa settimana con le dichiarazioni di Barbara Palombelli durante la conduzione del programma televisivo Forum. La giornalista, durante la puntata giornaliera ha affermato: “A volte però è lecito anche domandarsi: questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati, oppure c’è stato anche un comportamento esasperante e aggressivo anche dall’altra parte? “
Il video si è diffuso velocemente su tutte le piattaforme e la polemica, con annessi processi alla sua persona, non si è fatta attendere. C’è chi si è schierato a favore e chi ha alzato la voce per condannare le sue parole. Il fatto che l’opinione pubblica si sia polarizzata attorno a queste due fazioni è un chiaro esempio di come, soprattutto tramite l’uso dei social network, si senta sempre forte il bisogno di schierarsi, di dare il proprio giudizio, senza considerare il contesto in cui alcune affermazioni sono state fatte. Nei diversi video che si sono diffusi, in nessuno è stato menzionato quello che la giornalista ha detto prima o dopo quelle frasi. “Quando il “personaggio del giorno”, spiega Warzel, diventa oggetto di attenzioni da parte del pubblico disparato della piattaforma […], quello che succede in termini sociologici è che «migliaia di forti identità individuali online si scontrano l’una contro l’altra», incrementando le opportunità di «crollo del contesto”.
La stessa giornalista durante il programma Quarto Grado ha cercato di spiegare proprio questa cosa.
Michela Murgia, scrittrice, ha commentato in seguito l’accaduto sulle pagine della Stampa così “Questa scelta narrativa, di cui Palombelli è solo l’interprete più scalcagnatamente esplicita, è scellerata e gravida di conseguenze terribili per le donne, eppure viene presa tutti i giorni a ogni livello della comunicazione. L’unica consolazione che possiamo darci è considerare che dieci anni fa non si sarebbe sollevato alcun polverone per quelle dichiarazioni, ma la speranza è che quella polvere seppellisca ogni testata, ogni trasmissione, ogni notiziario dove ancora si insinua che le donne siano responsabili della loro mattanza.”