Caso Boldrini: sulla collaboratrice parlamentare sfruttata ne escono male sia Destra che Sinistra

L’inchiesta di Selvaggia Lucarelli sulle vessazioni subite da Roberta, collaboratrice parlamentare della ex presidente della Camera Laura Boldrini, fanno emergere per l’ennesima volta la grave lacuna normativa che esiste sulla regolamentazione della figura del collaboratore parlamentare e sulla gestione di soldi pubblici destinati all’esercizio del mandato degli eletti in Parlamento.
I cittadini hanno diritto a più trasparenza su come vengono spese le risorse della collettività e dovrebbero pretendere che i politici rimedino ad un sistema che consente di utilizzare quelle somme per scopi che esulano dal loro incarico, come è avvenuto nella vicenda denunciata dalla Lucarelli.
Il caso
L’ ex collaboratrice parlamentare della Boldrini ha rivelato che, nei due anni e mezzo che ha lavorato con lei, è stata mal pagata e vessata con richieste non attinenti alle mansioni di un collaboratore parlamentare ma collegate alla vita privata della Boldrini. Eppure, la sua retribuzione le veniva corrisposta con le risorse pubbliche legate alle attività istituzionali della deputata.
Ecco alcune dichiarazioni di denuncia di Roberta: “Ho lavorato due anni e mezzo con la Boldrini posso dire che ho tre figli, partivo il martedì alle 4.30 da Lodi per Roma, lavoravo per tre giorni 12 ore al giorno, dalla mattina presto alle nove di sera. Per il resto lavoravo da casa, vacanze comprese. Guadagnavo 1.200 / 1.300 euro al mese, da questo stipendio dovevo togliere costi di alloggio e dei treni da Lodi. Ero assunta come collaboratrice parlamentare e pagata quindi dalla politica per agevolare il lavoro di un parlamentare, ma il mio ruolo era anche pagare gli stipendi alla colf, andarle a ritirare le giacche dal sarto, prenotare il parrucchiere. Praticamente facevo anche il suo assistente personale, che è un altro lavoro e non dovuto. Dovevo comprarle trucchi o pantaloni. Lei ha una casa a Roma, quando rimaneva sfitta io portavo pure gente a vedere l’appartamento o chiamavo le agenzie immobiliari“.
Roberta ha poi deciso di lasciare il lavoro dopo tante umiliazioni e, in particolare, a seguito del rifiuto della Boldrini di concederle lo smart working di cui aveva bisogno per la malattia di uno dei figli.
La denuncia è quindi molto grave e ha destato clamore soprattutto in considerazione dello status della datrice di lavoro coinvolta.
Quali sono le mansioni dei collaboratori parlamentari?
I parlamentari sanno bene che possono avvalersi di collaboratori per essere supportati nello svolgimento dell’attività parlamentare, legata ai lavori di Aula e Commissione che richiede, in particolare: la redazione di proposte di legge ed emendamenti, il monitoraggio dei lavori parlamentari, la presentazione degli atti di indirizzo e controllo al governo, la divulgazione delle proprie iniziative attraverso un ufficio stampa, la gestione della segreteria e gli incontri istituzionali.
Come avviene nel Parlamento europeo, quindi, i collaboratori in possesso delle competenze necessarie dovrebbero essere assunti per ricoprire unicamente questi tre ruoli: segreteria, addetto stampa e consulente legislativo. Ma mentre presso l’istituzione europea le mansioni dei collaboratori sono individuate in una dettagliata disciplina, nel Parlamento italiano mancano del tutto delle regole su questa categoria di lavoratori.
L’assenza di una normativa di settore non può comunque in alcun modo giustificare i parlamentari quando si avvalgono di questo personale per interessi privati, visto che le somme riconosciute dall’amministrazione devono essere destinate, esclusivamente, per le spese legate all’esercizio del mandato.
Acquistare cosmetici, andare a ritirare vestiti in lavanderia o mostrare un appartamento per affittarlo, non sono chiaramente prestazioni che competono ad un collaboratore parlamentare. E una politica navigata come la Boldrini ne dovrebbe essere consapevole, tuttavia, scoppiato lo scandalo, ha ritenuto di doversi difendere affermando che l’essere una donna sola, con una agenda complessa, la legittima a richiedere anche adempimenti di questo genere. Giustificazioni inaccettabili e che hanno suscitato molta indignazione.
Le reazioni degli schieramenti di Destra e di Sinistra sul caso Boldrini
Purtroppo il comportamento della ex presidente della Camera non può considerarsi isolato in Parlamento, perché, come detto, l’assenza di regole favorisce gli abusi.
A fronte di questo singolare sistema voluto dalla politica, l’inchiesta che ha coinvolto la Boldrini è stata strumentalizzata dagli schieramenti sulla base delle convenienze legate ad interessi di partito.
E così i parlamentari di Destra sono intervenuti con un attacco personale nei confronti della Boldrini per metterne in evidenza le contraddizioni, visto che ha costruito la sua immagine come paladina dei diritti delle lavoratrici e della parità di genere.
Paradossali le reazioni dei parlamentari di Sinistra che hanno manifestato solidarietà, non per la lavoratrice, ma per la stessa Boldrini in quanto collega brutalmente attaccata dall’avversario politico di Destra.
Al contrario, questa vicenda richiedeva tutt’altro interessamento dei partiti.
Ci si aspettava innanzitutto un’accorata manifestazione di solidarietà per una collaboratrice parlamentare sfruttata e sottopagata. In secondo luogo sarebbero state opportune delle dichiarazioni attestanti la volontà di colmare la lacuna normativa che esiste rispetto al rapporto di lavoro tra parlamentare e collaboratore e la gestione delle somme destinate alle loro retribuzioni.
Anomalie del sistema
Proprio coloro che siedono in Parlamento e tutti i giorni parlano di diritti e tutele dei lavoratori, perseverano nell’assecondare un sistema che consente delle gravi irregolarità in danno a chi lavora alle loro dipendenze in Parlamento.
Solo in Italia, a differenza degli altri Parlamenti europei, la figura del collaboratore parlamentare non è formalmente riconosciuta, non sono stabiliti criteri per individuare i contratti di lavoro, né le fasce retributive.
Inoltre, il pagamento delle retribuzioni di questo personale invece di essere disposto da Camera e Senato, è di competenza del parlamentare che paga il proprio collaboratore senza essere sottoposto ad alcun controllo sulla regolarità di questo adempimento. Inoltre, non si può escludere che un parlamentare decida di non avvalersi di un collaboratore, trattenendo ugualmente le somme erogategli a questo scopo.
A ciò si aggiunge un’ulteriore anomalia. Le somme destinate alle retribuzioni dei collaboratori rientrano in un plafond di risorse pubbliche che i parlamentari ricevono mensilmente: per i senatori 4.180 euro mentre per deputati 3.690 euro. Il parlamentare è tenuto a rendicontare (e quindi a giustificare la spesa) solo la metà di queste somme. Si può quindi immaginare come un sistema così poco trasparente sull’utilizzo di risorse pubbliche sia esposto a gestioni quanto meno poco responsabili.
Solo quando il parlamentare è investito di ulteriori incarichi istituzionali, esistono procedure per le quali gli stipendi possono essere pagati direttamente dall’amministrazione. Ma anche in questi casi è assente un’adeguata disciplina del rapporto di lavoro e di conseguenza possono essere compiuti degli abusi.
La riforma che chiedono da anni i collaboratori ai parlamentari

I collaboratori parlamentari e l’Associazione che li rappresenta (AICP) chiedono da anni che si rimedi a tali storture, con l’introduzione di adeguate regole che prevedano un vincolo sulle somme destinate ai collaboratori e il pagamento diretto di Camera e Senato degli stipendi.
È poi indispensabile una disciplina specifica che riconosca questa figura lavorativa e stabilisca diritti, obblighi, tipologie contrattuali. In più, per rispettare un dovere di trasparenza sul personale che gli eletti reclutano per svolgere il mandato parlamentare, si chiede la pubblicazione dei curriculum sui portali dell’Amministrazione.
AICP sollecita anche l’introduzione di requisiti per svolgere questa professione e casi di incompatibilità che impediscano di assumere parenti o persone con carichi penali. Perché è vero che questo rapporto di lavoro è fiduciario, ma questa peculiarità dovrebbe essere legata al rispetto da parte del lavoratore di regole di deontologia professionale, non altro.
È doveroso evidenziare che ci sono anche tanti parlamentari/datori che sono corretti con i propri collaboratori e stipulano contratti di lavoro rispettosi della normativa sul diritto del lavoro, ma in un sistema senza regole vengono, di fatto, incentivate condotte poco virtuose, se non illecite.
Da qui deriva la necessità di una regolamentazione di settore, perché non si può contare sull’onestà del parlamentare, per evitare che ci siano casi di sfruttamento o mal utilizzo di risorse pubbliche.
Prospettive per una riforma
Dopo il caso Boldrini cambierà qualcosa? In passato altri scandali sui collaboratori hanno fatto successivamente ben sperare rispetto all’adozione di una riforma capace di contrastare ogni abuso, ma poi non sono state assunte iniziative parlamentari in questo senso.
La stessa Boldrini quando ricopriva l’incarico di presidente della Camera, dopo l’ennesimo caso di sfruttamento di una collaboratrice, si impegnò a sottoporre ai partiti una regolamentazione, ma poi si sa come è andata. Un nulla di fatto.
E, ad oggi, non ci sono segnali concreti che possano far sperare in un’imminente riforma neanche con gli attuali presidenti di Camera e Senato, rispettivamente Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati.
Eppure in tempi brevi si potrebbe pervenire, già in questa legislatura, ad una regolamentazione in materia per impedire abusi e gravi irregolarità che si consumano proprio nelle Istituzioni.