L’ineluttabile destino dello straniero. Fabrizio Gifuni incanta al Teatro Vascello

L’incedere è lento, esitante, quasi colpevole quando Meursault entra in scena per raccontare la sua storia. Lo sguardo si volge all’intorno come sorpreso, a tratti infastidito. L’étranger di Fabrizio Gifuni è un pozzo di emozioni, quelle stesse che il protagonista nemmeno conosce ma che lo spettatore percepisce in ogni momento della rappresentazione.
Vestito di bianco Gifuni inizia la sua lettura del capolavoro di Camus e solo con la sua interpretazione trasporta la platea nell’assolata Algeri.
Meursault, un algerino di origine francese, vive la sua esistenza tra apatia e disinteresse. Un giorno riceve un telegramma che gli annuncia la morte della madre. “Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio. Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” esordisce il protagonista. Spezza il fiato l’indifferenza con la quale affronta il viaggio verso l’ospizio nel quale Meursault aveva portato la madre perché non in grado di prendersene cura lui stesso. Inorridisce l’uomo comune quando il suo bisogno è bere il caffellatte che il portinaio gli porge invece di chiedere di vedere la madre, invece di piangere il giorno del funerale la sua attenzione è tesa al cielo azzurro ed al pullman che lo riporterà a casa. La faccenda si può considerare esaurita.
Torna a casa e va in spiaggia. Qui incontra Maria, una ex dipendente sua collega. Riesce a fare amicizia e le chiede di uscire. Inizia una relazione ma senza importanza come senza importanza vive la sua vita. La ragazza si innamora e gli chiede di sposarlo. “Per me è lo stesso, e se proprio ci tieni possiamo farlo ma non ti amo” il discorso cade così come era cominciato, nulla ha importanza, niente lo scalfisce, il vuoto che circonda Meursault è tangibile quanto senza spiegazioni. Il suo amico e vicino Raymond, un magazziniere manesco, gli racconta di esser venuto alle mani con un arabo, fratello di una donna con cui aveva una relazione e che manteneva. Una mattina di giugno decidono di andare al mare, seguiti da lontano da un gruppo di arabi. In spiaggia, durante una passeggiata, Mersault, Raymond ed un suo amico incontrano gli arabi e vengono alle mani. Mersault dopo la rissa ritorna in spiaggia e incontra di nuovo l’arabo. Accecato dal sole cocente e dal sudore che gli colava sugli occhi crede di veder balenare un coltello in mano al ragazzo e gli spara una volta. E poi sul corpo inerte spara ancora tre colpi.
Viene arrestato e durante le indagini prima ed il processo poi il suo atteggiamento impassibile nei confronti del reato commesso lo conducono alla pena di morte. Non si preoccupa Mersault di trovare delle scusanti a ciò che ha fatto, confessa di aver sparato perché ingannato dal sole accecante. I testimoni non parlano del delitto ma del suo comportamento, insensato ai più, incapace di provare emozioni e per questo più colpevole. Si finisce per abituarsi a tutto dice Mersault, prima della detenzione aveva desideri da uomo libero ora da prigioniero perché alla fine ci si abitua a tutto.
Fino all’unico acuto finale,quello in cui Mersault ribadisce, con l’unico momento di sconquasso interiore mentre il prete cerca di convincerlo a trovare il perdono attraverso Dio, il culmine dell’estrema brevura di Gifuni e che attrae come una calamita impazzita chi ascolta, l’indifferenza del mondo verso l’umanità: “Cosa mi importavano la morte degli altri, l’amore di mia madre, cosa mi importavano il suo Dio, le vite che ognuno si sceglie, i destini che un uomo si elegge, quando un solo destino doveva eleggere me e con me miliardi di privilegiati che, come lui, si dicevano miei fratelli? Capiva, capiva dunque? Tutti sono privilegiati. Non ci sono che privilegiati. Anche gli altri saranno condannati un giorno. Anche lui sarà condannato. Che importa se un un uomo accusato di assassinio è condannato a morte per non aver pianto ai funerali di sua madre?”
Accetta Mersault il suo destino e trova finalmente la pace consapevole dell’insensatezza delle cose del mondo.
Gifuni è grande interprete e con l’ondulare del corpo e con i gesti delle braccia e con il movimento degli occhi e della bocca rende appieno l’indifferenza, l’incapacità di provare qualsiasi tipo di emozione o di coinvolgimento a tal punto che lui è Meursault e Mersault si è impadronito di lui. L’incredulità lo pervade. Il tremore delle mani tradisce il nervosismo di trovarsi in situazioni in cui si sente a disagio solo per il comportamento altrui. La mano del direttore dell’ospizio troppo stretta nelle sue senza capire, sentire perché. La ritrosia di Maria quando ella sa che solo il giorno prima è morta sua madre. Tutto è reso in maniera così eguale al romanzo e anzi trasmette la stessa indifferenza, la stessa incredulità di Mersault verso i sentimenti degli altri e aiuta ad immaginare chi ha letto Lo Straniero e introduce alla lettura chi non lo conosce.
Ma è straordinario nell’interpretare in maniera perfetta anche gli altri personaggi del romanzo con un’immedesimazione poliedrica che lo fa sembrare uno e tanti. Un palco pieno di attori diversi nello stesso corpo, voci diverse, gestualità diverse che interpretano i diversi personaggi con una tangibile tensione emotiva. Si crea quello che Gifuni chiede al pubblico, un campo magnetico che attrae tutti verso uno solo. Ed il pubblico ringrazia con un’ovazione meritata.
Questa è il primo di una serie di spettacoli che vedono impegnato l’attore in un percorso innovativo di condivisione di grandissimi autori della letteratura mondiale quali appunto Camus ed a seguire Pasolini, Testori, Cortàzar e Bolano.
FABRIZIO GIFUNI – L’AUTORE E IL SUO DOPPIO
LO STRANIERO un’intervista impossibile (da L’Etranger di Albert Camus)
Suono G.U.P. alcaro
Ideazione e regia di Roberta Lena
Produzione Il Circolo dei Lettori di Torino
Teatro Del Vascello dal 2 al 5 marzo
Flavia Cataldi