‘Macbeth’, un dramma in 3D in scena al Quirino
Che ci sia stata per lungo tempo una significativa incompatibilità tra cinema e teatro, questo è noto a molti. Ma che tale divario potesse essere sapientemente risolto, è stato Luca De Fusco con il suo “Macbeth”, a dimostrarcelo.
Il regista in occasione del quattrocentesimo anniversario della morte di Shakespeare , ha deciso di portare in scena “Macbeth”, l’opera più corta ma ciò nonostante annoverata dai critici, tra i “più perfetti” prodotti dell’universo drammaturgico.
La tragedia di Macbeth è quella di un uomo “bambino per intelligenza e gigante per la forza”, un umile vassallo del Re di Scozia Duncan,dotato di magnanime ambizioni, eppure in “preda a un dio”:in nome di una forza tale, seguirà ciecamente gli oracoli fornitigli dalle tre streghe, macchiandosi di efferati crimini, preludio di un oscuro baratro di follia e di morte. Ad alimentare i macabri propositi del protagonista interpretato da Luca Lazzareschi , è Gaia Aprea, nel ruolo di Lady Macbeth, indole sanguigna e carnale, donna dalla gelida e lucida risolutezza, responsabile al pari del marito, della rovina della patria scozzese.
Per una tragedia così, nutrita da dissolvenze e chiaroscuri, in cui realtà e magia si alternano in una danza macabra , in cui il male si presenta camuffato da bene e l’oggettività degli avvenimenti impallidisce dinnanzi agli inganni della coscienza , necessaria è stata la ridefinizione della scenografia teatrale e inevitabile il connubio con tecniche di tipo cinematografico.
E se durante l’opera si ha l’impressione di trovarsi insieme a Macbeth a varcare le intricate foreste di Birnam, ciò è grazie all’espediente dei fondali a “tripolina”, costituiti da una moltitudine di fili sul fondo ,e così pure è con l’utilizzo di proiezioni visuali che le false creazioni interne del cervello febbricitante di Macbeth si materializzano di fronte ai nostri occhi increduli di spettatori , dal pugnale insanguinato al cadavere di Banquo che perseguita il protagonista nel corso del banchetto. Carrellate di immagini, investono,nell’atmosfera visionaria le percezioni del pubblico: e via, trasportati in rocamboleschi cambi di scenario, dalla turpe reggia di Macbeth al palazzo inglese di Fife, che si costruisce in un istante di archi e volte gotiche a crociera.
Il teatro sfida il cinema , lo imita inglobandolo in sé: video proiettati sul fondale riprendono come fanno le telecamere dei migliori reality gli attori, prima di schiena, poi in tortuosi primi piani, da cui l’illusione di assistere a una tragedia hic et nunc o a una delle tante pellicole di film di Bergman e Kubrick .
Il teatro di Shakespeare non è “tragedia” o commedia, ma” vita nella sua interezza e questo basta come condizione di legittimità per giustificare la convivenza sulla scena di monologhi tragici, uccisioni, scene di ironia contornate da danze rituali, nel pieno rispetto del testo originario grazie alle calzanti traduzioni di Gianni Garrera.
La rappresentazione al debutto ieri al Quirino, rimarrà in scena fino al 4 Dicembre con repliche pomeridiane e serali, per coniugarsi parimenti alle diverse esigenze di un pubblico eterogeneo: quel che conta però, è che sia visto , per la bellezza e la naturalità con cui la tradizione del passato si incarna nelle innovazioni tecniche , vivificandole, e coinvolgendo il pubblico, in una seppur evanescente atmosfera onirica. D’altronde come dice Macbeth nel prologo, questa vita non è null’altro che “un’ombra che cammina, un povero attore che si pavoneggia e si dimena durante la sua ora sul palcoscenico, dopodiché non si sente più nulla. Una favola narrata da un idiota, piena di rumore e furia, che non significa nulla”.
Valentina Pigliautile