ENRICO GUARNERI È DON VELLA: In scena al Teatro Quirino IL CONSIGLIO D’EGITTO di Leonardo Sciascia

Al Teatro Quirino va in scena dal 26 Aprile all’8 Maggio IL CONSIGLIO D’EGITTO di Leonardo Sciascia. Regia di Guglielmo Ferro, con Enrico Guarneri, Ileana Rigano, Francesca Ferro, Rosario Minardi, Vincenzo Volo, Rosario Marco Amato, Pietro Barbaro, Ciccio Abela, Gianni Fontanarosa, Antonello Capodici, Mario Fontanarosa. Costumi di Riccardo Cappello.
Palermo 1782. L’ambasciatore del Marocco Abdallah Mohamed ben Olman (Gianni Fontanarosa) naufraga sulle coste siciliane a causa di una violenta tempesta. Il fracappellano Giuseppe Vella (Enrico Guarneri) – un religioso umile che vive di espedienti, tra i quali l’attività di “smorfiatore di sogni” che gli consente di guadagnare qualche soldo per vivere – viene incaricato di prestarsi come interprete, essendo l’unico in città a conoscere l’arabo. Il Cappellano di corte chiede a Vella di domandare all’ospite marocchino qual è il contenuto di un codice arabo ritrovato in un famoso monastero palermitano. Il testo, che narra in realtà la vita di Maometto, viene spacciato da Vella per il “Consiglio di Sicilia”, un documento comprovante i secolari privilegi dei nobili siciliani. L’astuto artificio gli consente di ricevere favori dal Monsignore e persino una cattedra all’Università come insegnante di arabo.
Non contento, don Vella cerca di ricevere benefici anche dalla Corona e a tal fine, con l’aiuto del fedele Camilleri (Vincenzo Volo), spaccia per vero un testo che i due inventano di sana pianta: il “Consiglio d’Egitto”, un codice che restituisce al sovrano il reale possesso dei feudi e che pone quindi un limite ai privilegi della nobiltà.
Enrico Guarneri veste i panni di un personaggio non semplice, dai marcati caratteri ambivalenti e ci riesce con un esito straordinariamente positivo. Sebbene mosso da interessi personali e dallo sprezzo verso coloro che hanno sempre mangiato e comandato, nel suo “antro di alchimista” Vella dà vita a un’opera che mina le fondamenta della società e che prefigura di sovvertire l’ordine costituito. Una menzogna che diventa verità e giustizia, una ‘favola’ che crea la storia, perché “c’è più merito ad inventarla, la storia, che a trascriverla da vecchie carte, da antiche lapidi, da antichi sepolcri”.
La condanna a morte dell’avvocato Di Blasi (Rosario Minardi), vero rivoluzionario della storia ed emblema della ragione repubblicana, illuminerà la coscienza del fracappellano, spingendolo a comprendere l’importanza di una battaglia che non sia mero gioco egoistico di arricchimento personale, ma strumento per la realizzazione di uno scopo ben più nobile.
La pièce di Guglielmo Ferro, riduzione teatrale del romanzo storico di Sciascia pubblicato nel 1963, si offre come il tentativo di sbrogliare la matassa di una realtà ove la verità appare confusa e commista all’inganno.
È un’umanità i cui tratti prevalenti sono puntualmente quelli dell’ignoranza e dell’abuso di potere. Connotati che ancora oggi, nella nostra pluridecantata società dell’uguaglianza, facciamo fatica a eliminare del tutto.