“L’idiota” di Dostoevskij
Una personale e introspettiva rivisitazione di Corrado Accordino al Teatro Libero
“Tutti si vergognano a parlare dei propri sentimenti, ma ecco, io non mi vergogno e ve ne parlo”. È con questa frase che Corrado Accordino dà il via alla sua originale rivisitazione de “L’idiota” di Fedor Dostoevskij, in scena dal 15 al 21 ottobre al Teatro Libero di Milano. Una sola persona ha studiato, diretto e messo in scena uno spettacolo profondamente introspettivo e dai contorni nostalgici. Accordino ha sgonfiato la trama del capolavoro russo, riducendola all’episodio iniziale di Marie, una sfortunata ragazza di vent’anni ingiustificatamente schernita e disprezzata dagli abitanti del suo paesino.
Da questa piccola finestra aperta su questo capolavoro del 1869 si può scorgere tutta la complessità, la contraddizione e il fascino di Dostoevskij.
Il personaggio enigmatico e ammaliante del principe Myskin – così è definito dallo stesso Accordino – è capace di infondere impressioni differenti nel pubblico, diviso tra compassione, invidia della sua irriverente noncuranza del pensiero collettivo e del suo spirito superiore, e assoluta incomprensione della sua totale mancanza di volontà, in netta contraddizione con l’istinto passionale che lo pervade, ma di cui sembra non accorgersi.
Una figura paragonabile al giovane Werther quanto a carisma e capacità di affascinare chi lo circonda, ma privo del fuoco passionale che contraddistingue il personaggio goethiano.
I ragazzi del paese pendono dalle sue labbra, nonostante gli adulti proibiscano loro di frequentare quello straniero che parla strano e si comporta, ai loro occhi, come un idiota; ma al principe Myskin, l’idiota, questo non importa.
La scena praticamente spoglia e buia, se si fa eccezione per un piccolo girasole posizionato al centro del palco, e le luci che volutamente illuminano in maniera semplice il viso del personaggio, consentono di focalizzare l’attenzione sul monologo dell’attore, attraverso il quale Accordino riesce abilmente a tessere una trama tanto coinvolgente quanto nostalgica. L’attenzione del pubblico è tenuta viva anche attraverso sollecitazioni dell’attore e scene di crisi epilettica, accolte dal personaggio quasi come si trattasse di uno stato di beatitudine, che spezzano il ritmo di una storia già di per sé fluida e calzante.
Uno spettacolo, dunque, che in circa un’ora riesce a ispirare nel pubblico quella pietà e compassione che sono lontani dal nobile e abusato sentimento dell’amore, ma che sono ugualmente segno inconfondibile di un’elevatezza d’animo che purtroppo appartiene a pochi.
Giuseppe Ferrara
16 otttobre 2012