“Educazione siberiana” al Piccolo Eliseo di Roma

Il primo romanzo di Nicolai Lilin, “Educazione siberiana”, uscito nel 2009 è ben presto diventato un caso letterario, tradotto in 19 lingue è stato venduto in ben 24 paesi stranieri.
Sull’onda di questo successo travolgente, nel 2013 ne è stato tratto un film, diretto da Gabriele Salvatores; quest’anno se ne ha la prima trasposizione teatrale. Ad opera del collettivo NestT (per esteso Napoli est Teatro), coprodotto dalla Fondazione del Teatro Stabile di Torino, dal Teatro Metastasio Stabile della Toscana e da Emilia Romagna Teatro Fondazione, “Educazione siberiana” va in scena al Piccolo Eliseo di Roma fino al 16 febbraio. Questa sarà solo la prima tappa di una tournée che vedrà impegnati gli attori fino alla seconda metà di Marzo, portando lo spettacolo in tutta Italia. L’opera è stata riadattata nella veste teatrale grazie all’idea di Francesco Di Leva e Adriano Pantaleo, attraverso il lavoro congiunto dello stesso autore del testo e del direttore del collettivo NestT, Giuseppe Miale di Mauro, responsabile anche della regia.
Lo spettacolo trasporta il pubblico per l’intera sua durata, circa 1 ora e mezza, in uno sperduto villaggio dell’ex Unione Sovietica, nella remota regione della Transnistria. Qui vive una comunità di ribelli, ultimi discendenti di una antica stirpe guerriera: gli Urka siberiani, che si definiscono orgogliosamente “criminali onesti”.
La scenografia molto curata, così come le luci e le musiche, riescono a coinvolgere e stupire lo spettatore, restituendo l’immagine dell’habitat naturale dei protagonisti; questi trascorrono la loro quotidianità tra l’ambiente domestico, i dintorni del quartiere di Fiume basso e la galera.
Alcuni elementi fondamentali dominano la scena: armi, tatuaggi e icone sacre. I “criminali onesti” vivono impegnati in una lotta continua contro la corruzione esterna, materiale e non, cercando di salvaguardare un’etica ferrea, incentrata sui valori della condivisione dei beni e della lealtà, e alimentata dalla fede, dalla devozione per il divino, così come dall’odio brutale per la polizia. Senza riconoscersi nello Stato di cui fanno parte, ne nelle sue leggi ne tanto meno nei loro esecutori, questi criminali vivono una vita da esiliati, paladini del bene in un mondo alla deriva. Intenti nel preservare la precaria esistenza della loro realtà quotidiana, osservano, quasi maniacalmente, regole e codici di comportamento, ricoprendosi il corpo di tatuaggi che ne raccontano la storia, ne rappresentano l’essenza.
Questa rigida struttura non può però nulla contro la sete di denaro, la brama di successo, il richiamo della modernità che la penetra, distruggendola dall’interno. In un climax drammaturgico ascendente la storia si conclude con un’escalation di violenza, che accompagna la scomparsa uno ad uno dei vari personaggi; questi magistralmente interpretati da Luigi Diberti, Elsa Bossi, Ivan Castiglione, Francesco Di Leva, Giuseppe Gaudino, Stefano Meglio, Adriano Pantaleo e Andrea Vellotti.
A prescindere dal giudizio sull’opera di Lilin, così come sulla fedeltà o meno dell’adattamento teatrale, lo spettacolo rappresenta un ottimo esempio di cosa voglia dire fare teatro.
Anna Dotti
01 febbraio 2013