“Urge”: Bergonzoni porta in scena la vastità al Teatro Vittoria

È prorompente la vastità delle parole, la forza di un linguaggio multiforme, che sembra rigenerarsi continuamente dal suo interno seguendo un proprio filo conduttore, dotato di una propria ragion d’essere, non soggetto ad alcuna logica o principio esterno.
La libertà di costruire figure retoriche surreali, erigere costruzioni fantastiche e distruggerle a piacimento, il tutto ad un ritmo serrato, nevrotico. Bergonzoni colpisce il pubblico con la sua abilità retorica, recitando senza interruzione un monologo di un’ora e quarantacinque minuti, assolutamente denso e impegnativo sia a livello tecnico che sul piano creativo. Una sorta di flusso di coscienza continuo che si impone sul palco del teatro Vittoria Roma, allestito con una scenografia minimale che conferisce alla scena un’aria underground: sul fondo una serie di aste microfoniche a sorreggere delle piccole luci, in primo piano delle strutture in ferro combinate con dei fogli di lamiera.
Bergonzoni interagisce con questi elementi, sfruttandone al massimo la potenzialità espressiva, ed è proprio in questo che sta la sua peculiare capacità artistica, nel saper conferire il senso più svariato, i significati più assurdi e contraddittori ad elementi tecnici di per sé spogli, che si tratti di una lastra di lamiera o di semplici parole d’uso comune. Del resto il senso comune che può diventare straordinario, così come l’illogicità che può avere il suo senso, trovano posto senza contraddizione nello spettacolo di Bergonzoni, che dichiara apertamente il suo “voto di vastità”.
In questo campo sconfinato ci sono presentati i sogni dell’attore, realmente sognati o meno, carichi di immagini assurde. Ad esempio ci viene raccontata la vicenda di un’enorme statua a forma di tarallo che attraversa l’Italia, sospinta da un auto che procede unicamente a marcia indietro, o la sceneggiatura di un film in cui la trama, già di per sé onirica, viene rappresentata con una successione separata di colonna sonora, dialoghi ed immagini. Quello che emerge da questo campo di intrecci fitti e sconnessi, che è poi la vastità nella sua interezza, è un imperativo chiaro: “Stai colmo!”. In fin dei conti questo non dovrebbe aver bisogno di spiegazioni, visto che emerge chiaramente dallo spettacolo come un qualsiasi schema interpretativo si possa continuamente rompere e riassemblare. Ma in conclusione è proprio questo il significato dell’apparente nonsenso che Bergonzoni mette in scena, l’invito a cui urge dare risposta, la richiesta che non si può disattendere: non smettere mai di pensare. Bergonzoni ci indica così una via da percorrere, un atteggiamento mentale da praticare, perché solo esercitando attentamente e continuamente la nostra capacità di riflessione potremo cogliere ogni istante una sfumatura diversa, non distogliendoci mai dal voler conoscere sempre una prospettiva ulteriore, delle infinite che compongono la vastità.
Anna Dotti
26/11/2013