La vita davanti a sé: bisogna voler bene

Sino al 6 Febbraio 2022 al Teatro Franco Parenti di Milano, Silvio Orlando è in scena in La vita davanti a sé, tratto dall’opera La vie devant soi, di Romain Gary (Emile Ajar).
È la storia di un legame fortissimo, di un amore quasi filiale che sfida ignoranza, pregiudizi e razzismo. Racconta infatti, attraverso lo sguardo di un bambino, di come tenerezza, generosità, comprensione, possano vincere su gretezza di spirito e sfiducia.
Protagonisti sono una vecchia donna ebrea, Mme Rosa, e Momò, bambino arabo.
Lei è una anziana prostituta, ora brutta, obesa e molto malata. La sua morte è annunciata dall’inizio e getta ombra sull’infanzia del bimbo che racconta la sua storia in prima persona, in una lingua a volte sgrammaticata ma divertente, aggressiva ma carica di lirismo che affonda in un pessimismo comico, quasi consolatorio.
Mme porta i segni di Auschwitz e della vertigine del Velodrome d’Hiver.
Ha talmente paura che la Storia si ripeta, che la polizia torni a bussare alla sua porta per deportarla, che si è costruita in cantina “un rifugio ebreo” dove nascondersi.
La donna non esercita più ed ha aperto da tanti anni una sorta di pensionato per i figli delle prostitute. Al momento ha un africano, un vietnamita, un mezzo pakistano, un ebreo e Momò, musulmano.
Lui ha dieci anni ed è il più grande tra i bambini di Mme Rosa e quello che da più tempo è con lei, dopo essere rimasto orfano di madre, uccisa da suo padre.
Da tempo nessuno paga più per lui, ma resta il preferito di Mme Rosa. Nonostante la lucidità con cui osserva, non nutre né cattiveria né rancore né giudizio. La sofferenza può allargare gli orizzonti.
Abitano insieme in un immobile a 6 piani senza ascensore.
La vita davanti a sé: microcosmo multietnico
Il palazzo è ricostruito in scena come una sorta di piramide pericolante formata da un insieme di massi scuri sovrapposti l’uno sull’altro. Alla sua sommità partono cavi ancorati poi a terra che suggeriscono da subito la sagoma di un tendone da circo.
E questo accostamento forse non è azzardato visto che il circo è il luogo dove la diversità è accettata, supportata e vista come unicità. Un microcosmo formato da un nucleo di rapporti quasi famigliari capace di sviluppare una socialità partecipativa e attiva basata sul mutuo soccorso.
Proprio come all’interno del palazzo di Momò, a Belleville, quartiere multietnico di Parigi, dove convivono, razze, religioni, colori di pelle, lingue, in un brulichio continuo.
Silvio Orlando, solo sul palco è Momò e tutto il suo universo: Mme Rosa, il dottore, la negoziante, Mme Lola, la transessuale brasiliana, i condomini senegalesi, la bella signora bionda.
Cambia postura, voce, gestualità ricostruendo una girandola di personaggi arabi, ebrei, africani musulmani.
Diverte prima e emoziona in un secondo momento, sempre in bilico tra il serio e il comico, mantenendo lo sguardo fanciullesco, talvolta irriverente del piccolo Momò e la sua speranza. Bisogna voler bene è infatti il monito conclusivo.
La musica dell’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre con Simone Campa chitarra battente, percussioni, Gianni Denitto clarinetto, sax, Maurizio Pala fisarmonica, Kaw Sissoko kora, Djembe amplifica le atmosfere multietniche.