Abbiamo chiesto a Elisabetta Scarano in che condizione è il teatro italiano

In questo momento molto inquietante per la vita teatrale del nostro paese, dove anche la tanto attesa riapertura dei teatri è stata salutata solo in parte con gioia, abbiamo incontrato a Milano, l’attrice romana Elisabetta Scarano. Con lei abbiamo parlato del suo percorso di formazione, dei suoi progetti e dell’attuale situazione del teatro.
Ti sei formata alla scuola del Piccolo Teatro di Milano. Cosa deve avere e dare per te una scuola e cosa ti ha dato anche di inaspettato?
E. S. Mi sono formata nel triennio Vachtangov 2008-2011 alla prestigiosa Scuola del Piccolo Teatro di Milano, fondata da Giorgio Strehler e diretta da Luca Ronconi.
Ho avuto insegnanti del calibro di Marise Flach, Michele Abbondanza e Maria Consagra per il movimento, Lydia Stix, Antonella Astolfi per il canto e Laura Pasetti, Claudia Giannotti, Gianfranco de Bosio, Paola Bigatto insieme naturalmente ad Enrico D’Amato e Luca Ronconi per la recitazione. Sono stati loro a permettermi di crescere e di sviluppare al meglio il mio potenziale artistico. Ed è grazie a loro se ho iniziato quel viaggio di scoperta in primo luogo di me stessa, che dura una vita intera.
Ero la più giovane allieva del mio corso: mi sono diplomata che non avevo neanche 21 anni, tra ragazzi di culture e nazionalità diverse. Abbiamo recitato anche in inglese e in francese, in un contesto internazionale. Questa preparazione mi ha consentito poi di recitare con l’Ecole des Maitres 2015 sotto la direzione di di Ivica Buljan e alla Stella Adler di New York.
La scuola è importante come struttura, ma i Maestri lasciano segni indelebili. Ne hai avuti?
E. S. Luca Ronconi è stato sicuramnte Il Maestro. Con lui ho fatto due spettacoli: Santa Giovanna dei Macelli di B.Brecht e Medea ( Postumo ).
Ti abbiamo visto recitare in diversi spettacoli del Piccolo e non, come Santa Giovanna dei Macelli di Luca Ronconi, Medea di Daniele Salvo con Franco Branciaroli, La donna che visse due volte di Albero Oliva, Il Costruttore Solness di Roberto Trifirò, Suzanna Andler di Antonio Sixty, L’Isola di Arlecchino di Stefano De Luca. Quale tra questi è stato, per la tua formazione, più importante e perché ?
E. S. Il primo, con cui ho debuttato affiancando grandi nomi del teatro a soli 22 anni, ossia Santa Giovanna dei Macellli di Bertold Brecht nel ruolo di Marta diretta da Luca Ronconi accanto al Premio Ubu Maria Paiato e a Paolo Pierobon, Francesca Ciocchetti, Fausto Russo Alesi. Cosi come mi ha riempito di soddisfazione l’ultimo spettacolo che ho fatto con la regia di Stefano De Luca, L’isola di Arlecchino.
Hai deciso di continuare ora la tua carriera anche aldilà dell’oceano, negli Stati Uniti, in particolare a New York e Los Angeles. Come mai questa scelta?
E. S. Ho fatto, negli ultimi anni, diverse esperienze esterne al teatro. In televisione con con Pascal Vicedomini, come conduttrice televisiva del programma Hit The Road Man 2019 in onda su Mediaset; nell’ambito del cinema invece, ho partecipato all’ Ischia Global Film and Music Fest 2019, al Festival di Capri Hollywood 2019 e al festival di Cannes 2019.
Lavorare con il jet set internazionale del mondo del cinema, mi ha spinto a continuare ad approfondire la formazione negli Usa. In particolare nel canto, nel cinema, nella Stand Up Comedy e nella scrittura.
Considero NYC e LA, accanto all’Italia, come le due basi principali nelle quali sviluppare i miei progetti artistici. Mi interessa molto anche il musical e vorrei lavorare al meglio sulla mia comicità. Ci sono ottime scuole di formazione come la Susan Batson School, Hb, Stella Adler di Nyc, La Casa di Cultura Italiana e The Russian Arts Theater and Studio Trats Di Aleksey Burago in cui collabora il mio collega Riccardo Ripani del Piccolo Teatro Di Milano. Con lui, che da tempo vive e lavora attivamente a New York, ho stretto un ottimo sodalizio artistico!
Pensi che siano importanti sinergie culturali tra il nostro paese e gli Usa?
E. S. Penso che siano fondamentali, soprattutto in questo momento. Soltanto attraverso la comprensione del profondo gemellaggio che lega le due realtà artistiche, possiamo crescere insieme, unendo la grande potenzialità americana e le sue innovazioni, alla bellezza e profondità culturale della tradizione italiana.
Cosa credi si dovrebbe fare per implementarle e come pensi di poter contribuire?
E.S.Supportandone le similitudini e le differenze e amplificandone la comunicazione. Da qui il mio progetto di un documentario che vorrebbe sottolineare questo legame sottile tra Ny e Roma. Un viaggio, una sorta di odissea anche metaforica, intesa come mia ricerca identitaria e di percorso d’artista.
Qual è, per te, la funzione del teatro?

Il teatro è la base di tutto. Possiamo arrivare anche agli ologrammi che recitano con noi o al nostro posto, o ad una forma di teatro multimediale; possiamo illuderci che il teatro si trasferisca su zoom o sia in streaming. Ma appena va via la corrente elettrica, ci dovremmo ricordare delle basi a cui dobbiamo tornare: il corpo e la voce.
Il teatro ci ha sempre insegnato come canalizzare, trasmutare e rinnovare l’energia interna e esterna. Ci ha reso artefici e spettatori del nostro dramma e del nostro potere, ponendoci di volta in volta davanti ad uno specchio.
Ci ha offerto la condivisione catartica con l’irripetibile che si fa ogni sera insieme in sala. Il pubblico rimane fondamentale, perchè è la partecipazione a produrre il cambiamento. Questa è la base del teatro, le radici che permettono di innalzarci verso l’infinito, dovessimo pure un giorno fare teatro sulla Luna.
Il coronavirus ha come congelato il nostro mondo, la nostra vita. Il teatro è forse l’ultimo a ripartire. Cosa può fare, concretamente per te, in questo momento di stallo dove obiettivamente mancano a molti colleghi i soldi per la gestione quotidiana?
E. S. Il teatro e il cinema sono, in parte, in ripartenza. Il Coronavirus ha interrotto la comunicazione “diretta” ma ci ha regalato la possibilità di centrarci e di togliere, come spesso avviene nei momenti di grande cambiamento, tutto ciò che c’era di superficiale. Del resto come si fanno le prove prima di uno spettacolo o ci si allena prima di una performance, cosi ci si prepara internamente alla propria arte e si lavora nell’in per poi andare nell’out perchè la creazione non è un processo arrestabile, neanche da un virus.
L’opportunità dietro l’emergenza è la cosa più grande da cogliere. Dunque il Virus non è stato una punizione divina, ma un invito ad avere più attenzione, ad avvicinarsi ai cambiamenti necessari per modificare qualcosa nella nostra quotidianità.
Ecco, forse il teatro ci può suggerire l’ascolto di quello che la nostra terra e il nostro mondo ci stanno chiedendo per una nuova vita in accordo con il nostro pianeta.
Per questo l’artista non si ferma. Continua a sorprendere con mascherina, casco d’astronauta, bombola d’ossigeno. Perciò un Grazie enorme a tutti i miei colleghi attori, musicisti, pittori, ballerini, cantanti, registi, scrittori, scultori e a tutti coloro che non si sono fermati. E non si fermeranno perchè consapevoli della loro responsabilità, capacità, forza e coraggio. Insieme alla loro insostituibile importanza per questo mondo, malgrado il poco riconoscimento sociale.
Noi artisti, continuiamo a lavorare anche a teatri chiusi. Ne abbiamo parecchie di cose da fare e da dire e ve le faremo vedere, ve le faremo sentire!