Inter, la grazia nella sconfitta

L’ Inter è uscita dalla Coppa Italia alla lotteria dei rigori pur giocando una prestazione intesa contro la Juventus. Tuttavia sapevo che i miei avrebbe provato a giocare bene, ma non così. La prima partita vissuta in quel di Milano da atipico romano interista rimane un buon ricordo, con una squadra che ha saputo vincere perdendo, un ossimoro sul quale torneremo.
Raggiunta la mia ragazza per un breve soggiorno nella città un tempo “da bere”, per poi tornare insieme verso Roma, mi sono accorto di cose importanti come di superficiali aspetti sulla città della madonnina così chiacchierata nel bene e nel male. Il fatto poi di poter tifare liberamente l’ Inter in un posto dove naturalmente è sentita, mi ha dato uno stupore da fanciullo. Fra il lieto re-incontrarmi con la morosa, la stesura di qualche pagina di tesi e un giro a scoprire una città originale, tutto è stato stimolante. Fornita la cornice, il momento in cui l’ Inter affrontava la Juventus dopo quello scialbo 3-0 a Torino era giunto abbastanza velocemente, con mio padre pronto a esprimere la sfiducia a riguardo nelle nostre telefonate per sentire come andavano le cose. Nonostante il risultato condannasse i neroazzurri ero comunque contento di poter vivere il match a Milano.
Una squadra completamente diversa, eppure confusa tatticamente come spesso accade con la tradizionale anti-tattica manciniana. In fondo, l’ Inter e i suoi tifosi sono abituati alla frequente disorganizzazione come alla follia, è così da sempre. «Pazza Inter amala», ieri sera fulgido esempio. Una follia diversa e fine a se stessa data la media punti da retrocessione degli ultimi due mesi: luci diverse su San Siro, bagliori tendenti a far ricordare la natura di un club imprevedibile. Ma contro la Juventus quell’imprevedibilità è stata animalesca, per una partita che – al diavolo, tanto l’oggettività nel giornalismo non esiste – poteva finire con due goal in più sul tabellone a favore dei neroazzurri. Il biscione ieri sera era una bestia letale come non la si vedeva da tempo, pronta a mordere e ad avvelenare, con i suoi undici organi che si muovevano non perfettamente ma con efficacia come solo un animale ben plasmato al contesto della caccia sa fare.
«Se facciamo il 3 a 0 e andiamo ai supplementari vestiti, ti offro una birra al pub qui sotto» ho annunciato fomentato a Valentina, la mia ragazza. Alla fine si è dovuta vestire. Sorseggiando un paio di scure e fatto amicizia insieme a lei con ragazze e ragazzi interisti – l’unica volta che ho visto una partita con un neroazzurro diverso da mio padre o mio zio, nella mia completa solitudine interista a Roma, era allo stadio – ho assistito alla brutalità dei calci di rigore e lo sapete com’è andata. Ai pali, alle traverse, alle occasioni mancate ambo le parti e alla gastrite – a questo punto cronica – scatenata dalle suddette pinte, Inter – Juventus di mercoledì sera è stata una partita importante perché i neroazzurri si sono ricordati che non è mai troppo tardi, e che anzi reagire a testa bassa con umiltà gratifica.
Ed è questo il punto che fa la differenza, perché con il folle background attitudinale e gli scarsi risultati dell’ultimo periodo, ieri la squadra è stata poetica in forme neo-realiste o, come preferite, graziosa nella morte alla Hemingway Come in quei racconti di persone che lavorano e non sfondano travolti da qualcosa più grande di loro o più semplicemente dal più tremendo scorrere delle cose. L’ Inter era una protagonista dalla storie già scritta, che ci prova ugualmente pur uscendo senza i plausi o i fiori di omaggio della vittoria. Luci diverse a San Siro appunto. L’ Inter di mercoledì sera era operaia e ruvida, così rincuorante per i tifosi. Al di la dei tanti, troppi errori in ogni fase di gioco, la miglior prestazione stagionale è arrivata nel periodo più difficile ed è tale pur rimanendo svincolata dal risultato. Malgrado il finale, che è sempre ciò che conta, le prestazioni dei singoli hanno fatto sanguinare un avversario in piena amnesia, una Juventus che ha recuperato il senso di un’intera stagione dimenticandosi spesso di essere umana e di poter sbagliare. È questo il fattore poetico, far piegare anche “solo” per 120 minuti un avversario che si sente Dio pur perdendo, far impaurire una Juve approcciatasi superbamente: altro che quel «Più bello così» della prima pagina di Tuttosport. Poi con mio padre ci siamo telefonati a fine partita, «Visto come hanno giocato? – mi ha detto contento – dovrebbero fargli una multa per averlo fatto solo adesso». Ma papà lo hanno fatto, questo conta. « Inter, per scendere al pub a vederti con Valentina condividendo il momento con della gente interista, ho bevuto un paio di birre che hanno influito sul mio stare una merda» ho pensato alzandomi la mattina dopo con lo stomaco che cercava di riequilibrarsi dalla gastrite. Mi è piaciuto pensare però che a volte si vince perdendo, si va avanti, si riscopre come l’ Inter mercoledì sera di essere vivi.