«L’etichetta del perdente?. Non so quello che succederà domani, se me la toglieranno o no».
Se qualcuno attribuisse – adesso – queste parole a Carlo Ancelotti sarebbe deriso, forse schernito. Sul tecnico del Real l’etichetta “perdente” proprio no, non può essere accostata. Eppure, per un periodo, si è poggiata sulla sua fronte. Senza attecchire, per fortuna del calcio italiano e mondiale.
Era l’intervista della notte di Manchester, quella della prima Champions di Re Carlo; proprio contro la Juventus, proprio contro chi quell’etichetta aveva provato a cucirgliela addosso. Ancelotti non sapeva se sarebbe riuscito a lavarsela via (così diceva), forse peccando di umiltà. Era campione d’Europa, era già un vincente. Quel che non poteva sapere, questo sì, è che sarebbe diventato il più vincente di tutti.

La Juve lo allontana, lui vince ovunque
C’era una volta il Carlo Ancelotti perdente di successo. Allenatore apprezzato, certo, ma incapace di vincere lo scudetto con la Juve. Inaccettabile per una società abituata a fregiarsi del tricolore un anno sì e l’altro pure. In bianconero un secondo posto diventa un fallimento, soprattutto se hai in rosa gente del calibro di Zidane, Davids, Inzaghi (tralasciamo Del Piero, prima infortunato, poi alla ricerca di sé stesso): 144 punti in due campionati non sono stati abbastanza per battere prima la Lazio di Eriksson, poi la Roma di Capello.
Ma da allora ne è passata di acqua sotto i ponti; anzi, ne sono passati di trofei sotto le sue mani.
Da quando ha lasciato la panchina della Juventus, Carlo ha fatto collezione di successi, ovunque: ha vinto tutto con il Milan, ha conquistato campionati in Inghilterra con il Chelsea, in Francia con il Paris Saint Germain, in Germania con il Bayern Monaco e, da ultimo, di recente, in Spagna con il Real Madrid. E proprio per il club più glorioso al mondo Ancelotti aveva lasciato il PSG nel 2013, sposando un progetto che si basava sulla rincorsa alla “Decima” Champions, diventata quasi un’ossessione a Plaza de Cibeles. Sappiamo come sia andata, con Sergio Ramos che all’ultimo secondo allunga la gara ai supplementari e il 4-1 finale.

La rinascita e l’Olimpo
Tutto magnifico, tutto grandioso. Ma l’inaspettato arriva dopo. Passano otto anni, nel frattempo Ancelotti viene esonerato dal Bayern (nonostante un Meisterschale) e dal Napoli, tra dissidi, polemiche e ammutinamenti. Riparte dall’Everton, sulla sponda meno gloriosa della Mersey, senza riuscire a nobilitarlo.
Per molti era “finito”, non per Florentino Perez, presidente del Real Madrid, che lo richiama alla guida dei blancos. Per un’altra impresa, per quella che in pochi si sarebbero aspettati. Perché il Real è forte, fortissimo, ma non quello degli anni passati. Perché la concorrenza (si veda soprattutto PSG, Manchester City, Bayern e Liverpool) è sempre più ricca e agguerrita. Perché gli anni passano. Ma non lui. Non Carlo Ancelotti.
Unico a vincere il titolo nei cinque principali campionati europei (e ce ne sono soltanto altri quattro ad averlo conquistato in almeno quattro Paesi diversi, giusto per darvi un’idea della grandezza della sua impresa). Primo di sempre a conquistare quattro Champions League/ Coppe dei Campioni da allenatore, staccando Bob Paisley e Zinedine Zidane. L’ultima pochi giorni fa.
Vincere con grandi squadre, ripetutamente, nulla di più difficile
Ha vinto sempre con grandi squadre, è oggettivo. Ma non si arriva ai top club se non sei un top allenatore. Non è facile mettere insieme grandi personalità, quelle dei grandi calciatori, amalgamarle e creare un gruppo. Vincere è sempre difficile, esempi di fallimenti di grandi squadre ne abbiamo a centinaia. Farlo ovunque, ripetutamente, è da leggenda.