Calcio e criptovalute: le ragioni di un rapporto sempre più stretto

ll 7 settembre 2021 è una data storica. Il Bitcoin diventa la valuta di Stato di El Salvador. Per la prima volta una criptovaluta è la la moneta ufficiale di una nazione. La certificazione ufficiale della natura di strumento di pagamento, dopo sentenze contrastanti che strattonavano le criptovalute da una parte e dall’altra: alcune (si veda la Corte di Cassazione italiana) le etichettavano come strumento finanziario, altre (si veda la Corte di Giustizia Europea) ne ammettevano la natura di moneta. Il mondo del calcio, invece, non ha mai avuto dubbi.

Il calcio e i pagamenti “alternativi”: una storia recente, che anticipa il futuro
É notizia recente quella di Leo Messi che ha ricevuto i fan token SPSG nel welcome bonus concordato con la squadra parigina. Certo, non Bitcoin, non Ethereum, ma qualcosa di molto simile. Un oggetto virtuale dotato di un certo valore. Dedicato ai tifosi, ma cedibile a chiunque (e guadagnabile, spesso con l’acquisto di biglietti o abbonamenti). Una modalità di pagamento vera e propria, accettata di buon grado dal campione argentino. E considerato che Socios (che emette i fan token) è partner di circa una ventina di squadre, non è difficile pensare che la mossa del PSG possa essere epocale; che possa dare il via a una prassi nel mondo del calcio. Anche perché la scelta non è priva di ragioni e conseguenze, anche fiscali.
Ma facciamo un passo indietro. Cerchiamo di capire la storia, i precursori. E restiamo nel nostro calcio, perché – come spesso accade – siamo i primi. Torniamo al 2018, quando il Rimini Calcio cede il 25% della proprietà a Heritage Sports Holdings, società degli Emirati Arabi Uniti che paga la quota in Quantacoin, una criptovaluta. Nel gennaio dello stesso anno, il turco Omer Faruk Kiroglu è il primo calciatore comprato e pagato in Bitcoin. La squadra è l’Harunustaspor, che sposa appieno la campagna contro il riciclaggio di denaro nel calcio avviata dall’Uefa. Le motivazioni? DIcevamo, anche (o soprattutto?) fiscali.

Una disciplina normativa lacunosa e non uniforme
In Francia, come in buona parte d’Europa (tra cui l’Italia) ad oggi non esiste una disciplina tributaria sulle criptovalute. Generalmente ad essere tassate sono le plusvalenze, ovvero il guadagno dato dalla differenza tra il prezzo di vendita e quello originario di acquisto. É così in Italia, è così negli Stati Uniti, è così nel Regno Unito. Ed è così anche in Francia. Addirittura in Germania le plusvalenze su criptovalute sono tassate solo se realizzate prima che di un anno dall’acquisto.
Non è invece tassato il possesso, che va solo dichiarato (e, anche qui, in molti paesi c’è incertezza a causa di lacune legislative).
Le motivazioni economiche che stanno alla base della scelta di corrispondere criptovalute sono quindi evidenti. Possedere criptovalute, con la possibilità di spenderle ormai ovunque, è un vantaggio per il calciatore; corrisponderle come remunerazione (o bonus) lo è per le società di calcio. Ci sono dunque tutte le premesse affinché la relazione tra criptovalute e calcio si faccia sempre più stringente. E chissà che questa modalità di retribuzione non venga adottata, prima o poi, anche in altri settori…