L’azionariato popolare può salvare il calcio?

La definizione più calzante dell’Azionariato Popolare la prendiamo in prestito dal Livorno Calcio:
“L’azionariato popolare è una pratica che permette ai tifosi ed alle tifose di diventare parte attiva nei processi decisionali della società, trasformando i partecipanti in proprietari, investitori e dirigenti”.
Da sempre esperimento tentato in Italia con scarso successo, l’azionariato popolare all’Estero vede luce in importanti realtà, e potrebbe avere chance di riuscita nel nostro paese anche a causa della crisi economica scatenata dalla pandemia di Coronavirus che ha aggravato le già traballanti casse delle società di calcio, dalla più ricca serie A fino alle serie minori.
Nell’aprile scorso infatti i deputati Buffagni e Olgiati, nell’ambito del DDL “Delega sullo sport”, hanno presentato un emendamento, che “mira ad invertire la situazione attuale, introducendo nell’ordinamento degli strumenti in grado di coinvolgere i tifosi e renderli direttamente responsabili rispetto alla proprietà e organizzazione delle società sportive professionistiche e dilettantistiche”.
Come precisa Olgiati “Questa proposta, che per il momento è stata solo depositata, permetterà l’introduzione nell’ordinamento societario di alcuni strumenti in grado di coinvolgere i tifosi e renderli direttamente responsabili rispetto alla proprietà e organizzazione delle società sportive professionistiche e dilettantistiche. Per certi versi è anche una risposta alla proposta anti calcistica di realizzare una Super Lega per i club più ricchi”.
Appetitosa la parte delle misure fiscali per la promozione dell’azionariato che prevedono un detrazione di imposta per persone fisiche pari al 30 per cento dell’ammontare complessivo dell’investimento sostenuto con il limite massimo di 50 mila euro e per un periodo di tre anni ed ancora più invitante per le società sportive professionistiche e dilettantistiche è il credito di imposta del 20 per cento del capitale sottoscritto dai sostenitori sportivi aumentato del 10 per cento qualora la stessa società abbia al suo interno un azionariato pari almeno al 50 per cento più uno del totale capitale versato.
Nonostante queste novità, peraltro ancora accantonate, in Italia spicca la creazione di Interspac, società di azionariato popolare legata all’Inter presentata dal suo ideatore, Carlo Cottarelli, solo venerdì scorso durante una conferenza stampa. Intervistato dal Corriere della Sera, Cottarelli spiega i perché di questa scelta: “L’azionariato porta soldi freschi nelle casse della società che così eviterebbe di pagare milioni di interessi, si creerebbe un legame stretto tra tifosi e squadra ed aumenterebbero le entrate di merchandising e biglietteria”.
Zhang è stato informato ma non si è pronunciato.
Oltre alla novità Interspac, in Italia esistono varie forme di azionariato popolare nelle serie minori come Orgoglio Amaranto che possiede il 2% dell’Unione Sportiva Arezzo, l’Associazione Sportiva Squadramiache ha acquistato le azioni dell’Asd Santarcangelo Calcio in Serie D, e poi il Livorno, il Mantova, l’Arezzo, l’Hellas Verona; realtà più significative si stanno sviluppando come Ideale Barie Centro Storico Lebowskima anche centri più piccoli come Vigor Lamezia e Palermo.
Si distingue, per blasone e per credibilità, il progetto di MyROMA, al momento unico esempio di azionariato popolare formato unicamente da tifosi della Roma che partecipa concretamente al capitale sociale del club avendo acquisito una quota di azioni della società giallorossa.
MyROMA, come si legge dal loro sito, ha l’obiettivo di operare quale entità rappresentativa dei sostenitori della AS Roma S.pA., collaborando strettamente con il club e cercando di favorirne, anche attraverso la partecipazione diretta al capitale sociale, la crescita economica e sportiva negli anni. La mission del trust è principalmente incentrata sull’investimento nel settore giovanile, il coinvolgimento delle famiglie alla vita dello stadio ed il confronto diretto per una gestione ottimale delle risorse.
All’estero la situazione è differente. In Spagna, esempio vincente di partecipazione dei tifosi, cìè il Barcellona con più di 200.000 soci sparsi in tutto il mondo. Questi hanno la possibilità di gestire il club catalano, tramite l’assemblea generale formata dal 2,5% della totalità dei soci nominati con sorteggio che approvano il bilancio, le modifiche statutarie ed autorizzano nuovi accordi con gli sponsor. I soci, inoltre, eleggono a suffragio universale ogni quattro anni il Presidente che è coadiuvato dalla Junta, un gruppo di diciotto persone che lo aiuta nelle sue mansioni ed intermedia con l’assemblea generale.
Nel 1999 in Germania fu approvata la legge del 50%+1 pertanto una singola azienda o un singolo gruppo non può detenere più del 50% di azioni dei club della Bundesliga.
Esempio tra i più conosciuti è il Bayern Monaco che assegna il 73% ai propri tifosi ed il restante 27% è diviso equamente tra Audi, Adidas e Allianz.
In Inghilterra il Manchester United evita compromessi come quelli di Chelsea e Tottenham che hanno aperto le porte del CdA ad una rappresentanza di tifosi, e con un comunicato stampa annuncia “una nuova era di dialogo e consultazione”.
Nasce il Fan Advisory Board tramite il quale ci sarà un reale e costante confronto tra proprietà e tifosi coinvolgendo la tifoseria fino a farla entrare, in rappresentanza, dentro il Consiglio di Amministrazione per creare, alla fine di questo processo di coinvolgimento, un vero e proprio azionariato per i tifosi che diventerebbero a tutti gli effetti azionisti con lo stesso diritto di voto della proprietà.
E’ evidente, chi più chi meno, il processo di democratizzazione delle società che si impegnano ad introdurre un azionariato popolare che oltre ad instaurare un dialogo tra dirigenza e tifosi, che non crei l’evidente disappunto della sfortunata quanto inopportuna meteora della Superlega, operazione naufragata (non ancora del tutto) proprio a causa dei tifosi delle stesse supersquadre fondatrici, possa risollevare le sorti dei club da anni alle prese con spese folli e modelli gestionali a dir poco arditi.