8 MARZO | Donne “principesse” senza corona

Donne donne donne. Donne in primo piano, protagoniste di un fenomeno che in questi ultimi lustri si è andato allargando a effetto domino in Italia e nel mondo. Donne stuprate, sfigurate con l’acido, bruciate, uccise e fatte sparire nel nulla. Donne-fantoccio, come bambole antiche ripiene di segatura da sventrare e poi buttare nel secchione. E’ cronaca vera, quella che supera i racconti di fanta-horror e che troppo spesso ci racconta un episodio nuovo, aberrante.
Nel balletto delle cifre spesso contraddittorie, le statistiche appaiono tuttavia raccapriccianti: solo in Italia, il 2013 risultò l’anno record con 179 femminicidi rispetto al 2012, che ne registrò 157. L’anno appena trascorso conta 116 femminicidi, in lieve flessione rispetto al 2015, comunque ininfluente a riparare l’ancora dilagante fenomeno, diventato quasi un fatto emulativo. Cosa fa lo Stato per difendere la donna da tali abusi?
Una legge disomogenea
Nel 2013 venne elaborato il D.L. n. 93, poi convertito nella Legge 15 ottobre 2013 n. 119, legge frettolosa e raffazzonata, in cui il “maltrattamento di genere” risultò inglobato nell’ambito delle provvidenze per la sicurezza pubblica, la protezione civile, i No-Tav e le Province.
Da sottolineare che quel decreto venne inviato al Senato a ridosso della sua scadenza e pertanto in condizione di non poter apportare alcuna modifica al testo pena la decadenza della legge stessa. Degli 11 articoli di cui è composta, la legge sembra deprivare la donna della sua capacità di soggetto giuridico, relegandola al ruolo di debole attrice di un fenomeno criminoso, anziché – come rileva Barbara Spinelli – “soggetto reso vulnerabile” dalla violenza stessa. Ci rimane quindi una legge che, dal 2013 (governo Letta) ad oggi non ha potuto subire alcuna modifica, né tantomeno essere sostituita da altra provvida legge dove la “donna” risulti al centro, quale soggetto umano e sensibile, e non confusa nel contesto di eventi di pubblica pericolosità.
Oggi appunto, nell’annuale ricorrenza dell’8 marzo, avvertiamo il dovere e il sentimento dell’appartenenza per stringerci intorno a tutte quelle donne vittime di uomini ancora legati ad archetipi maschilisti, i quali trovano sfogo delle loro problematiche esistenziali ed emozionali su colei che è loro più vicina, moglie, fidanzata, compagna. Ma perché tanto accanimento dell’uomo verso la donna?
“Principessa” deificata…
Potremmo trascrivere per intero, sic et simpliciter, il nostro articolo del 2012 “Donne: “principesse da buttar via”, tanto la situazione del pianeta donna sia rimasta nel rapporto di coppia pressoché immutata, poiché non bastano soli quattro anni per cambiare un certa sottocultura. Ci limitiamo pertanto a riportarne qualche stralcio: “Accade spesso che l’uomo esordisca nel rapporto con quella galanteria d’altri tempi, fatta di fiori e regali. Ciò che dovrebbe instillare qualche perplessità è la modalità usata nel rivolgersi a lei come la sua “ principessa”. Senza peraltro voler generalizzare, quello che ti ha messa su un trono si rivelerà prima o poi un bel maschilista. In realtà, lui è – per così dire – un “mafioso dell’amore”, che non conosce il vero significato di questo sentimento se non nei termini del possesso, colui che ti considera la statuina da porre su un piedistallo. La bella storia incantata finirà miseramente in un rapporto malato, costruito su piccoli ricatti, su iniziali e sottili violenze psicologiche, per poi sfociare in un vero e proprio “stalking” e risolversi spesso in tragedia.
“Lui non accetterà mai l’affrancazione della donna dal suo giogo. Per lui la donna è un oggetto impreziosito da una corona e quindi “deificato”, frutto di una cultura millenaria che ha incarnato la donna come entità “altra” dall’uomo, ma a lui sottoposta come “dio primo”, un Giove padre-padrone che blandisce la sua dea ma la maltratta e la tradisce, mentre lei deve restare al suo posto, geisha adorante, per rispettare la sacralità del suo ruolo di moglie-madre-sorella”.
… e uomo detronizzato?
Al di là di questi casi limite, la donna ormai acculturata e liberata da secoli di sottomissione al maschio pretende il suo legittimo ruolo di autonomia. Nelle bandiere sessantottine agitate con la parola d’ordine “l’utero è mio e me lo gestisco io” c’era tutto un trascorso di soggezione del suo corpo al volere dell’uomo, che la usava a suo piacimento come un vaso da riempire del suo… orgoglio virile. Era lui che decideva il “come, dove e quando”.
Vediamo come oggi le donne siano riuscite a conquistare ruoli di grande responsabilità in ogni ambito istituzionale e sociale. E di fronte a queste donne “nuove”, il maschio si sente destabilizzato dai rifiuti o dalle avance troppo dirette della donna cadendo in fase di “ansia da prestazione”. Mi butto o non mi butto? Sarò alla sua altezza? Nel ribaltamento dei ruoli, accade che l’uomo possa ritrarsi in se stesso o, in casi estremi, tirar fuori quella sua atavica aggressività. La situazione diventa ingestibile, come un serpente che si morde la coda, perché – va detto con decisione – si perde di vista quale debba essere il giusto rapporto uomo-donna.
Rapporto complementare
In certa mentalità comune non acculturata serpeggia purtroppo ancora una sottintesa – e quindi non dichiarata – ritrosia verso l’emancipazione femminile. Forse non si sono rivelati tanto felici gli esiti di quella “liberazione sessuale” made in Usa, che dovrebbe essere rivista in maniera consapevole da entrambe le parti per non debordare in atteggiamenti deleteri nel rapporto a due. Separazioni e divorzi sono all’ordine del giorno.
Forse sta proprio nella donna, partorita da madre natura in modo differente dall’uomo, riuscire a pareggiare quelle scabrosità maschili con il suo “quid” di sensibilità, non contrapponendo forza alla forza, non ostentando i propri diritti, ma servendosi sottilmente di quelle doti naturali ed esclusive. Non uomo contro donna, ma binomio complementare.
Vero è che stiamo vivendo tempi assai difficili dove ogni rapporto, dal privato al pubblico, sta subendo dei seri contraccolpi che sembrano preludere allo sfascio di un sistema. Da parte sua, il potere politico tralascia come fanalino di coda certi aspetti del vivere sociale in realtà basilari per la vera crescita di un Paese. Lavoro ed emancipazione culturale giovanile sono invece i cardini per una visione del futuro, che al momento ci appare in tutte le sue incertezze.
La prevaricazione maschilista ed anche omofobica, cui assistiamo nei disgustosi episodi di bullismo in seno alle scuole e di cyber bullismo sui social, con conseguenze spesso tragiche, va presa di petto in termini diversamente concreti che con leggi annacquate. Qualcosa si sta muovendo, con iniziative di prevenzione educational nelle scuole. Occorre infatti iniziare proprio dai sistemi di insegnamento, offrendo innanzitutto al corpo insegnante adeguati stimoli economici perché possa sostituirsi alla famiglia, laddove in essa manchino i presupposti per dare ai figli una corretta educazione sentimentale.
Non ci stancheremo mai di dirlo: svegliamoci. Basta un poco di fantasia per coinvolgere i giovani, per farci ascoltare, per trattenerli a porgere l’orecchio… fuggitivo. Non è facile, ma “basta un poco di zucchero e la pillola va giù”.