Crimes of the Future, guardarsi dentro e sentirsi piccoli

Potremmo stare per svariate righe a parlare del perché Crimes of the Future sia un film così importante, di come segni il ritorno in sala di David Cronenberg, e di come segni soprattutto il ritorno del regista al genere che lo ha consacrato, ossia quello del body horror, nel quale malformazioni, mostruosità, malattie ed aberrazioni visive divengono un espediente per riflettere sulla condizione umana.
Ma a voi non interessano elenchi di nozioni imparate in una notte su Wikipedia, o nella sezione commenti sotto un video di You Tube per non arrivare impreparati alla proiezione di un film che si sa essere importante, e detto in tutta sincerità non interessa nemmeno a chi vi scrive.

L’unico bisogno che il sottoscritto sente dal termine della proiezione è quello di mettere nero su bianco le sensazioni e le riflessioni derivate dalla visione prima che vadano dissolvendosi, in modo che voi lettori capiate perché è importante vedere un film del genere, e perché è importante farlo in sala.
Un film i cui contenuti estremamente grafici ed espliciti non sono volti solo a turbare il pubblico, ma soprattutto a riflettere sulla società contemporanea, sulla sua evoluzione, sulla ricerca del piacere e sulle derive di un intrattenimento ormai sempre più morboso e viscerale.
Piaceri di domani, orrori di oggi
La prima impressione al termine del film, è che Cronenberg abbia realizzato un’impresa riuscita solo a metà anche a grandi autori dal talento già ampiamente collaudato: fare un film che possa elevarsi a vera e propria summa del proprio stile, delle proprie tematiche e delle proprie poetiche.
Ma laddove magari Christopher Nolan con il suo Tenet, o Sam Raimi con il recente Doctor Strange nel Multiverso della Follia, hanno voluto saturare le rispettive opere con gli stilemi da sempre ad essi associati fino a rendere i film dei meme su sé stessi, Cronenberg sceglie di realizzare una sintesi delle sue tematiche ricorrenti, ma proponendole in maniera del tutto nuova rispetto al passato.
L’abilità dell’autore sta nell’inserimento di temi come il rapporto tra dolore e piacere, o l’evoluzione vista come arma a doppio taglio per il genere umano, già presenti in Videodrome o ne La Mosca (in particolare la presenza di un personaggio in grado di sciogliere il cibo con la saliva prima di mangiarlo non può non ricordare l’iconico Seth Brundle di Jeff Goldblum), in un contesto inedito non solo per la sua filmografia, ma anche per la maggior parte del cinema stesso: lo scenario in cui si svolge la vicenda è infatti quello di un futuro distopico, nel quale però ad aver preso una direzione sbagliata, o comunque imprevista e difficile da gestire per l’essere umano, non è stata la politica, né la società né la tecnologia, o meglio, anch’esse sono cambiate, ma solo come conseguenza del cambiamento fondamentale, ossia quello del corpo dell’essere umano stesso.

E in un mondo soggetto ad una così complessa serie di cambiamenti, le nostre concezioni dell’arte, dell’intrattenimento e del piacere diventano maledettamente obsolete: laddove le sensazioni fisiche stanno lentamente scomparendo e i corpi umani producono ogni giorno nuovi organi, il dolore diviene qualcosa di paragonabile a un orgasmo, la chirurgia una forma d’arte, e il reale potenziale del genoma umano un segreto di stato che vale la pena uccidere affinché rimanga tale.
In questo contesto vanno ad inserirsi i nostri protagonisti: il dolorante, emaciato e vulnerabile Viggo Mortensen è il divo di un mondo in cui la sofferenza diviene l’esperienza psicofisica più estrema, le operazioni chirurgiche di Léa Seydoux divengono i rapporti sessuali di un’esteta dell’orrido, mentre Kristen Stewart, col suo personaggio timido, sommesso, dalle sporadiche apparizioni quasi tutte nell’angolo dell’inquadratura, e dal tono di voce quasi afono, rappresenta uno spettatore eccitato e dal voyeurismo senza limiti, quel conoscente silenzioso e discreto che quasi tutti abbiamo, quello che non parla quasi mai se non interpellato, che ha difficoltà a reggere lo sguardo dell’interlocutore e che arrossisce facilmente, ma che nella solitudine della propria cameretta tira fuori tutti quegli istinti che ha soppresso per giorni, settimane o mesi, magari proprio davanti allo schermo di un computer figurandosi protagonista di una scena che non si sognerebbe mai di descrivere ad alta voce in presenza di altri.

Ma, quasi come se il suo film non fosse già abbastanza profondo di per sé e non sollevasse già abbastanza dilemmi e questioni da farci arrovellare il cervello per un paio di mesetti buoni, Cronenberg riesce ad inserirvi persino dei collegamenti con uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni: politica green, inquinamento e ambiente.
Sfruttando la tematica dell’evoluzione umana, il regista immagina una possibile soluzione che permetterebbe all’uomo di adattarsi e sopravvivere nell’inferno industrializzato che lui stesso ha creato, ma in linea con la natura distopica dello scenario in cui si svolge la vicenda, si tratta chiaramente di un qualcosa di disgustosamente innaturale, che pone i personaggi di fronte alla paura di un futuro che non si può prevedere né controllare, nonché di fronte alla paura di un cambiamento tanto inevitabile quanto necessario, di un’evoluzione tanto repentina da portare l’uomo a diventare qualcosa di non più umano, e quindi ad essere sostituito.
L’umanità raccontata da Cronenberg è come un adolescente confuso: sta vivendo trasformazioni repentine che nemmeno comprende, non ricorda più cos’era una volta e non sa cosa sta per diventare, e come ogni essere che sta cambiando è arrabbiata, spaventata, e ignara della sua effettiva natura.
Distopico ma non troppo
L’altra sensazione che la visione ha lasciato in chi vi scrive, è che le tematiche finora esaminate non fossero la colonna portante del film, bensì un espediente per affrontare un altro argomento, molto più sottile ed implicito, ma sempre presente per tutta la durata della pellicola: la ricerca dell’intrattenimento, e il superamento dei suoi limiti.
Come già detto, la storia è ambientata in un mondo in cui i corpi stanno cambiando e le sensazioni fisiche, specialmente quelle più piacevoli, stanno pian piano sparendo, cosa che finisce per stravolgere le nostre idee di piacere, curiosità, e in generale di intrattenimento.
In un mondo così i rapporti tra esseri umani divengono freddi ed asettici, il sesso diviene un’idea superata e persino la violenza non suscita più clamore.
In un mondo così, in cui ci si taglia per piacere e in cui atti abominevoli come l’infanticidio sono maledettamente facili da compiere, c’è un tremendo bisogno di alzare l’asticella, di colpire in qualche modo un pubblico che non si sorprende letteralmente più, e in questo mondo l’unica risposta sono le operazioni chirurgiche: la più sofisticata forma di violenza, la più completa forma di conoscenza, un mezzo per esporre la parte più nascosta e intima di un essere umano allo sguardo avido e morboso di una platea di spettatori in cerca di sensazioni estreme.
Ma qui arriva la vera domanda: quanto possiamo dire di essere distanti da una società simile?

Pensate anche soltanto a come il nostro modo esprimerci, pensare e intrattenerci sia cambiato con l’avvento di internet, una fonte costante di informazioni e di sapere che se da un lato ci ha resi più malleabili, incapaci di gestire l’enorme mole di informazioni con cui veniamo bombardati ogni giorno, dall’altro lato ha reso alla portata di chiunque argomenti che fino a poche decine di anni fa erano tabù.
Non fraintendete questo discorso però: chi vi scrive è più che contento che si possa parlare liberamente di morte, sesso o violenza senza sentirsi giudicati dalla massa (almeno non sempre), ma dall’altro lato ciò ci ha resi tremendamente consapevoli e disincantati, talmente incapaci di sorprenderci o di ambire in qualche modo a un sapere ormai alla portata di un semplice click, che tutto quello che abbiamo ormai finisce per non bastarci più, per non suscitare in noi alcuna sensazione, rendendo soprattutto la nostra generazione una massa confusa alla costante ricerca dell’inconsueto, di un qualcosa che possa stupirci, che possa occupare le nostre bacheche social abbastanza a lungo affinché possano ancora avere un posto nella nostra memoria tra qualche anno, quando migliaia e migliaia di altri argomenti l’avranno attraversata senza lasciare alcun segno.
Probabilmente la maggior parte di voi sta pensando alla pornografia o ai siti gore, ma ci sono forme più sottili di superamento dei limiti e di intrattenimento morboso: ci basti pensare a quelle persone che sentono il bisogno di inserire il più alto numero possibile di bestemmie all’interno delle frasi nel disperato tentativo di risultare trasgressive, o a servizi giornalistici di cronaca nera volti a spettacolarizzare la psiche contorta di quegli individui capaci di compiere gli atti più atroci o a sovraesporre la sofferenza umana di chi subisce le conseguenze di tali atti.

Di questo e molto altro siamo sommersi letteralmente ogni giorno, e il momento in cui neanche questo ci basterà più potrebbe essere più vicino di quanto noi stessi pensiamo: tra quanto tempo il mezzo per entrare nel corpo di chi abbiamo di fronte, non saranno più dei genitali, ma un bisturi? Tra quanto tempo non saremo più intrigati dall’idea di scoprire l’animo di un’altra persona, preferendo i suoi organi interni? E quando ci saremo stancati anche di tutto questo cosa accadrà? Diverremo individui asettici e incapaci di provare qualsiasi cosa, o le forme di intrattenimento si evolveranno con noi?
Le risposte a queste domande non le abbiamo, ma Cronenberg, come tutti i grandi autori e pensatori, potrebbe aver previsto un possibile andamento degli eventi, e la possibilità che un mondo così possa davvero concretizzarsi fa molta più paura di qualsiasi body horror.