Insurrezione: uno scontro generazionale tutto spagnolo

Un romanzo a due voci, che si alternano nei capitoli. Aitor, il padre. Ana la figlia.
Tutti e due ribelli, l’uno piegato dalla routine, l’altra infuocata dalle ingiustizie.
Aitor, sottopagato e sottostimato dipendente di una radio, che continua a girare con una vecchia auto sportiva, vestigia di un tempo che fu.
Ana, ragazzina diversa, bullizzata ma non per questo doma. Ana che fugge per la prima volta a quattordici anni nel bel mezzo di una gita scolastica solo per capire cosa vuol dire evadere, cavarsela da sola.
Eppure Aitor e Ana erano stati molto legati. Dal divorzio con Isabel le cose cambiano in casa, Ana e Luis, suo fratello scelgono di vivere col padre, un padre che si è lasciato andare col flusso della marea umana che lo circonda.
Il fuoco di Ana non le permette di restare e, ancora minorenne, fugge di nuovo finendo in una casa occupata a Lavapiés. Si, El Agujero, “Il Buco” è il posto dove vivere. Lì si respira un senso nuovo della vita, quello che cercava. “Morte al senso comune, abbasso le verità di tutta la vita”.
Alfon è il suo mentore e la introduce in un mondo in costruzione. Bisogna eliminare divisioni, classificazioni, compartimenti stagni, nulla di prestabilito, ordinato, imposto.
Ana vuole scegliere la parte in cui stare, ed è quella dei deboli, dei reietti, degli emarginati. Il Buco accoglie tutta questa accozzaglia di disperati che non si arrendono alle convenzioni con l’idea di cambiare il mondo, cambiare la visione ottusa e costrittiva che la società impone.
Si può e si deve essere ribelli ma perché? Per scelta? Per convenzione? Per credo? O perché è l’unica via?
L’unico aggancio con la famiglia Ana lo mantiene con il fratello che non rivela ciò al padre ma che, dopo aver vinto una borsa di studio a Boston, decide di partire.

Ana lo disprezza quando Luis va a salutarla, nemmeno lui ha più un senso per lei, anche Luis è caduto nelle maglie dele convenzioni, della piccola borghesia che si presta come manodopera al potere.
Alfon chiama tutti all’azione perché cos’è la ribellione senza insurrezione?
Si decide di mettere in atto un’azione di forza, che richiamerà l’attenzione pubblica su di loro, sul loro credo. Una bomba in un centro commerciale in costruzione ma dopo una votazione farsesca, è solo Ana pronta all’azione.
Prende la metro saltando il tornello “come un animale della savana” e mette in pratica il piano di Alfon, tanto folle quanto inutile.
L’investigatore privato che Aitor e sua moglie Isabel avevano assoldato la segue e la riprende. Ricatta Aitor chiedendogli dei soldi per non denunciare Ana ma Aitor, con un furbo colpo di scena si prende gioco di lui.
E’ convinto Aitor di poterla salvare, lei è la sua bambina e si, lui la salverà ne è sicuro.
Solo che Ana non si piega, non accetta aiuti, rifiuta sinceramente e totalmente quel mondo che non le appartiene. Torna nella spiaggia dove era arrivata tre anni prima, dove aveva incontrato Alfon la prima volta, immagina il suo futuro di selvaggia su quei lidi e poi si lascia andare nel mare.
I capitoli sono brevi ma pieni di riflessioni che inducono a passare dalla parte di Ana, dei ribelli ma la maggior parte di loro non crede fino in fondo alla ribellione, all’insurrezione. Vivono così solo perché è l’unico modo che conoscono. Una massa di disperati che sopravvive come può.
I dialoghi non sono evidenziati come tali e questo genera un flusso di pensieri che si incrociano ed incontrano come un suono a due voci.
I concetti, i pensieri, le riflessioni sul mondo odierno che schiaccia sempre più gli esseri umani, la massificazione dell’individuo, la schiavitù del liberismo, l’assenza di poesia e di letteratura che caratterizza sempre più l’umanità tutta diretta verso lo sfruttamento delle risorse umane per il solo fine della produttività sono descritte in maniera eccellente ma quasi parossistica tanto da lasciare un gusto amaro e consapevole.
“Insurrezione” costringe a riflettere sulla nostra vita, ed è questa la cosa più profonda, e per certi versi, triste del romanzo di Ovejero.