Vivere o sopravvivere

“Vivere o sopravvivere, questo è il problema” avrebbe declamato Amleto se William Shakespeare fosse stato un giovane Millennials. Forse, in realtà, se Shakespeare fosse nato alla fine del secolo scorso non avrebbe mai scritto un testo teatrale, ma sarebbe stato un Influencer su TikTok. Avremmo perso gran parte del patrimonio culturale, lasciato nelle Stories di Instagram oppure in profili privati di Facebook.
Il carovita ha aggredito gran parte della popolazione. In un lento e inesorabile decadimento culturale e sociale, anche l’economia, che sembrava spingere la popolazione in un’inarrestabile crescita, è diventata un fattore di lacerazione sempre più evidente tra le varie classi sociali. Il cosiddetto ceto medio, cuore pulsante di un’Italia in ripresa, che aveva vivacizzato gli anni ’70 e ’80, è scoppiato come una bolla di sapone al primo soffio di vento.
Difficile accorgersene, mentre si vive l’hic et nunc. Chi ha vissuto in quell’epoca pensava che niente e nessuno avrebbe mai potuto intaccare i diritti acquisiti e il benessere economico raggiunto. Si pensava che avere un lavoro stabile, con un contratto a tempo indeterminato, possibilmente statale, avrebbe reso la vita tranquilla e sicura, un mare calmo e immune a qualsiasi problematica economica. Un nucleo familiare che si sosteneva con il reddito di una sola persona era in grado di acquistare una casa, gestire la vita di tutti i componenti, permettere ai bambini di soddisfare ogni desiderio, lasciare che i ragazzi decidessero l’università più adatta alle proprie inclinazioni, e addirittura andare in vacanza una o due volte l’anno.
Nelle nostre menti pensiamo che sia ancora così, ma in realtà viviamo con un bias cognitivo dovuto alle possibilità che gli anziani ci stanno lasciando in eredità. Molte famiglie con entrambi i genitori lavoratori, devono chiedere aiuto ai nonni, facendo dei sacrifici evidenti per permettere al proprio bambino – in genere figlio unico, perché non possono permettersene di più – di avere una vita “normale”. Addio settimane bianche e vacanze al mare, addio serate fuori con amici e parenti. Tutto viene ridotto all’osso, tutta la fatica di un mese se ne va in tasse, bollette e mutui.
Nonostante ci siano tante eccezioni, la maggior parte delle persone che vivevano in quel meraviglioso ceto medio, si stanno allontanando dalla “metà”, sprofondando lentamente e inesorabilmente in una condizione di vita difficile, certamente non di stenti, ma nemmeno così florida.
A cascata ne risente anche l’economia nel suo intero, visto che viveva grazie alle tante piccole famiglie benestanti e non ai pochi ricchi miliardari. Le piccole-medie imprese non ce la fanno, chiudono i battenti, lasciando l’Italia, sempre più vuota, in mano alle aziende multimilionarie straniere.
Tante domande e tante accuse da parte dei cittadini. In televisione, sui social, nei bar non si fa altro che lamentarsi, e questo malcontento avvolge sempre più l’intera popolazione. Si ha paura di spendere, di investire, di lasciar andare quel poco che si è guadagnato.
Questa stanchezza, questo senso di semplice sopravvivenza si percepisce diversamente rispetto all’età di chi la guarda. Gli anziani vedono le loro pensioni diminuire di valore e di potere di acquisto, e dopo una vita passata a lavorare, si ritrovano a vivere di stenti e a fare ancora sacrifici; gli adulti – la classe che dovrebbe tenere in piedi il Paese – trattengono il denaro nei conti correnti o nelle tasche, diminuendo lo svago personale, facendo sacrifici per i figli (se hanno avuto il coraggio di metterli al mondo – infatti molti tra i 30 e i 50 anni non ne hanno ancora); i giovani ventenni sono insofferenti verso la condizione che trovano; gli adolescenti, invece, decidono di lasciare gli studi per trovare subito un lavoro oppure di fregarsene completamente di ciò che accadrà, dal momento che niente potrà risollevare la situazione.
C’è una grande fetta di giovani-adulti, che va dai 15 ai 45 anni, che hanno deciso di lasciare tutto, che preferiscono vivere di ciò che hanno (anche se poco) e di non pensare a ciò che accadrà. Ci penseranno quando sarà il momento, quando la vita gli metterà davanti la possibilità di scegliere. Non vivranno come i loro genitori: sottomessi ad un capo o a un’azienda. Non sono né anarchici né nichilisti, bensì individui molto più complessi; forse si potrebbero definire i ” nuovi hippy”, che lavorano in proprio e, quando capita, vanno all’estero per fare esperienza, più che per cercare lavoro, fermamente convinti che l’economica non ruberà mai la loro libertà né possiederà la loro vita.
Per la prima volta nella storia moderna, il futuro non si vede, né in positivo, come l’essere umano è in genere e per natura abituato a pensare, né in negativo, perché le catastrofi che si prospetterebbero (ambientali, chimiche, atomiche, politiche, economiche) porterebbero l’uomo alla pazzia.
Mentre i tassi si alzano, le bollette esplodono, la guerra incombe, le risorse diminuiscono, la BCE alza gli interessi, il lavoro scarseggia, le aziende chiudono e il futuro è incerto, molti si chiedono se sia meglio vivere giorno per giorno, senza pensare al futuro, o sopravvivere piegandosi alle regole imposte dalla società che sta stritolando l’individuo, nella speranza di potersi risollevare presto. Vivere o sopravvivere. Purtroppo, oggi, non solo questo è il problema.