MĀYĀ. Oltre il velo di MACE
Ebbene si, quel fricchettone 4.0 di MACE è tornato! A distanza di tre anni dal primo album che lo ha reso noto al pubblico, il producer milanese più originale del nostro panorama è uscito con MĀYĀ, un concept album che tanto richiama il primo, portando ancora una volta gli ascoltatori nel mondo incantato di MACE.
Synth e anima elettrica, quasi virtuale ormai, un marchio necessario per poter inserire l’autore in quel filone di musica elettronica del nuovo secolo, ma MACE è lo sciamano dei dischi e accanto a un Wulrlitzer ci troviamo un sitar, ed è proprio questo uno degli ingredienti alla base del successo del beatmaker dalla chioma fluo: la commistione di generi, voci e strumenti. Una fusione talmente armonica da elevarsi a inno della multiculturalità. Una musica che nasce dalle viscere di un Io Universale, che ti attraversa e trascende la realtà.
Il concept
Per vincere il dolore e l’ignoranza, tre strade sono possibili secondo Schopenhauer: l’arte, la pietà e l’ascesi. Solo attraverso queste vie l’uomo potrà squarciare il velo di Maya e conoscere la realtà del mondo. Noi, a dirla tutta, ci avevamo visto lungo e, quando nel 2022 scrivevamo di OLTRE, il secondo album di MACE, notavamo che: «OLTRE, il suo nuovo disco, sembra aprire uno squarcio nel velo policromo che l’artista dalla chioma fluo posa sulle sue tracce». E l’intero velo adesso è venuto giù. Meno introspettivo di OLTRE e meno sciamanico di OBE, MĀYĀ torna a essere il disco di una comune di artisti cosmopoliti, un panorama di professionisti della musica a cui ancora non viene riconosciuto, a nostro dire, il valore che gli spetta. MACE è per alcuni di loro una sorta di vate e portavoce e dobbiamo riconoscergli l’incredibile capacità di unire nei suoi feat artisti e voci di mondi musicali lontani.
La comune di artisti
«Tantissimi musicisti, cantanti e amici in un casolare nella natura, per molti giorni sempre assieme, circondati da ogni strumento immaginabile con lo studio in rec 24 ore su 24, MĀYĀ è nato così, dalla condivisione completa».
In una lunga intervista rilasciata qualche giorno fa, MACE ha sottolineato la differenza nel processo di creazione di questo suo ultimo lavoro che più che un album in studio è un “album in casolare”: «La differenza grossa, dunque, è stata che non volevo che fosse un processo di un mattoncino sopra l’altro, com’era stato Obe, ma più una sorta di interplay di tutte queste persone, bravissimi musicisti, ma soprattutto ottimi compagni di vita. Nelle prime sessioni non ho neanche dato delle indicazioni precise, volevo proprio vedere la musica che si materializzava dal nulla. Volevo vedere semplicemente cosa nasceva dalla nostra interazione». Un melting pot riuscito, perché ha portato alla luce i lati migliori di ogni singolo artista, da vecchie conoscenze a nuove inaspettate glorie.
I pezzi del puzzle
Da Joan Thiele che con la sua voce magnetica esalta le sonorità di una traccia in apertura il cui titolo, Viaggio contro la paura, è già evocativo ed esplicito; all’incontro familiare con la voce graffiante di Gemitaiz. Un biglietto d’ingresso che subito spiazza. C’è dell’elettro-blues da qualche parte ma poi ci confondiamo presi dall’emozione di sentire Venerus, Frah Quintale, poi Guè, Noyz e Tony Boy in una traccia new rap vecchia scuola. Rkomi e Cosmo non potevano mancare e di certo MACE non si è fatto sfuggire un inarrestabile Bresh in piena ascesa. Impensabile ma è successo, c’è anche Marco Mengoni qui dentro e che meraviglia! Singolare, invece, la scelta di pubblicare Ruggine con Chiello e Coez come singolo di lancio, ma quello è marketing ragazzi! Fermi tutti, c’è anche Erlend Øye dei Kings of Convenience! Ah no, è il promettentissimo Marco Castello.
Un puzzle si, ma un puzzle in cui è impossibile distinguere le linee di incastro tanto bene è avvenuta la fusione.
Ecco, lo riconosciamo subito, libero e puro, proprio come con Hallucination di OBE, arriva MACE da solo a porre il sigillo con l’ultima traccia, Maya è imperscrutabile proprio come l’animo umano.