Sanremo 2021. Ecco cosa ci ha insegnato il Festival della Rinascita

La 71° edizione del Festival di Sanremo ha chiuso i battenti con la vittoria dei Måneskin. Un’edizione che non è rimasta esente dalle polemiche, nonostante l’eccezionalità dell’evento in un anno difficile come quello in corso. Il Festival della Rinascita ha bypassato l’isolamento pandemico per unire gli spettatori e dare loro una boccata d’ossigeno all’interno di una quotidianità a tratti soffocante. Ma, tra musica e monologhi, cosa abbiamo imparato davvero da Sanremo 2021?
Abbiamo imparato che la musica sta cambiando, o forse no
“Metti un po’ di musica leggera nel silenzio assordante, per non cadere dentro al buco nero che sta ad un passo da noi”, così cantano Colapesce e Dimartino nel brano presentato a Sanremo 2021. La musica come strumento di catarsi, come analgesico contro il malessere tipico della società in cui viviamo. Cosa c’è di nuovo rispetto al passato? È davvero in corso il tanto millantato degrado generazionale?
L’uomo tende a porsi come difensore dei propri anni d’oro, “era meglio prima” è la parola d’ordine per entrare nel mondo della nostalgia, criticando a piè fermo il nuovo, spesso anche senza conoscerlo. L’essere umano è un animale abitudinario, il cambiamento spaventa e il rifiuto è tante volte aprioristico, scartando la novità a occhi chiusi, come il frutto di un naturale deterioramento sociale.
Sanremo 2021 è stato un Festival quasi total young, che ha dato il pass d’ingresso a generi diversi che si sono posti al di fuori del canonico standard sanremese e che risultano quindi atipici al pubblico dell’Ariston. Ma il mondo non dovrebbe andare al passo con i tempi?
Le scelte di mister Amadeus ci hanno insegnato che l’involucro musicale è cambiato, che il sound del ventunesimo secolo non è lo stesso dell’Italia degli anni ’70 e ’80, ma che la musica mantiene sempre lo stesso obiettivo, essere un lenitivo contro il male di vivere e uno specchio del mondo che ci circonda, un modo per far sentire la propria voce e per trovare conforto. Perché tutti da sempre, come Fulminacci, vorremmo qualcuno che ci guardasse e ci dicesse “che domani è tutto a posto”.
Abbiamo imparato che il maschilismo è una cagata pazzesca
“A me Federico ha dato la forza di essere fragile”, così Francesca Michielin risponde a Domenica In alla domanda “Cosa hai imparato da Fedez in questa esperienza?”. È una risposta emblematica, lo è perché è una risposta che genera ancora stupore.
Anni di lotte per l’emancipazione hanno sottolineato quanto sia necessario il raggiungimento di una parità di genere. Nella giornata internazionale della donna è giusto porre l’accento sull’inutilità delle etichette. Il femminismo come libertà di spezzare il cerchio, come coraggio di essere il soggetto attivo della propria esistenza, come baluardo di lotta comune. Il maschilismo ha rinchiuso per anni l’uomo in una prigione che ha annientato le proprie fragilità, marchiandole come segni di debolezza non concessa. L’emancipazione è una conquista di dignità personale.
L’emozione tangibile di Fedez durante l’esibizione, la scelta di Francesca Michielin di regalare a lui i fiori del Festival e l’invito del cantante a non vergognarsi delle proprie fragilità umane e di intraprendere a testa alta (qualora se ne sentisse la necessità) un percorso terapeutico sono dei piccoli step importanti verso lo scardinamento del concetto di maschio alpha, mitizzato e privo di umanità.
Abbiamo imparato che le parole fanno male
“Tutti con la stessa carne debole,
la stessa rosa che ci trafigge il petto.
Insieme, inginocchiati davanti al sipario della vita”@AchilleIDOL #Sanremo2021 pic.twitter.com/ykahC3mGFd— Festival di Sanremo (@SanremoRai) March 6, 2021
Achille Lauro, un personaggio controverso, apprezzato e criticato a giorni alterni. A prescindere dai gusti personali, l’istrionico Lauro ci ha insegnato che bisogna pesare le parole e mettere da parte i giudizi e i pregiudizi. Trafitto nel petto dalle rose, nell’ultimo quadro presentato a Sanremo 2021 ha mostrato il sangue generato dalle parole di odio gratuito.
“È giunto il nostro momento. Colpevoli, innocenti. Attori, uditori. Santi, peccatori. Tutti insieme sulla stessa strada di stelle. Di fronte alle porte del Paradiso. Tutti con la stessa carne debole. La stessa rosa che ci trafigge il petto. Insieme, inginocchiati davanti al sipario della vita. E così sia. Dio benedica solo noi esseri umani”
A volte dimentichiamo quanto le parole possano fare male, quanto la vita di una persona possa cambiare notevolmente per un giudizio non richiesto, per un commento non appropriato. Non vedo la blasfemia in un messaggio di umanità come questo, anzi, vedo una richiesta di aiuto e di cambiamento, vedo un primo passo verso un mondo che calpesta i pregiudizi. È forse questo che ci ha insegnato il Festival della Rinascita?