L’Oman è diventato, con discrezione, un interlocutore fondamentale nel Golfo
Gli Stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, o GCC, si sono distinti negli ultimi anni per aver bilanciato con successo le loro relazioni con le potenze mondiali in concorrenza tra loro, e posizionarsi al meglio nell’emergente mondo multipolare.
Tuttavia, tra tutti, l’Oman ha sfruttato al massimo la sua lunga tradizione di solida neutralità, distinguendosi in una Regione caratterizzata dall’instabilità, e rendersi così un partner straordinariamente prezioso sia per le potenze mondiali che per quelle regionali.
In particolare, il continuo ricorso di Washington a Muscat come canale secondario, vitale per i colloqui indiretti con Teheran, ne ha fatto uno dei pilastri della politica estera dell’Oman a livello regionale, e l’ha resa centrale nello scenario di confronto in continuo peggioramento per via della crisi tra Israele e Iran.
Il ritorno dell’ex Presidente Donald Trump alla Casa Bianca, dopo la sua vittoria alle elezioni presidenziali americane dello scorso 5 novembre, segnala una potenziale ripresa di un approccio rigido di Washington nei confronti di Teheran, come avvenuto durante il primo mandato di Trump come Presidente.
Tuttavia, secondo gli osservatori, la solida imparzialità dell’Oman nei confronti dell’Iran non subirà variazioni, anche se le relazioni tra Stati Uniti e Iran peggiorassero rendendo lo scenario regionale ancora più instabile.
La neutralità del piccolo Stato del Golfo è ciò che ha contraddistinto la sua politica estera durante i cinquanta anni di regno del sultano Qaboos Bin Saied, portata avanti dal sultano Haitam Bin Tariq quando è salito al trono dopo la morte di Qaboos nel febbraio del 2020.
In effetti, sebbene l’Oman sia stato tradizionalmente un partner fondamentale per la difesa, sia per gli Stati Uniti che per il Regno Unito, la sua visione pragmatica in politica estera gli ha consentito di mantenere rapporti anche con l’Iran, così come con altri Paesi che includono alcuni degli avversari più acerrimi di Washington e Londra.
All’inizio di ottobre, per esempio, l’Iran e l’Oman hanno condotto esercitazioni militari e navali congiunte, queste ultime incentrate in operazioni di salvataggio e soccorso marittimo nell’Oceano Indiano e nello stretto di Ormuz.
Le esercitazioni dimostrano quanta attenzione ponga l’Oman sul mantenimento della sicurezza regionale, in particolare sulla strettoia costituita dallo stretto di Ormuz attraverso il quale passa il 20% del petrolio mondiale.
Altri Stati del GCC hanno cercato di mantenere buoni rapporti con l’Iran, anche se per ragioni diverse.
A margine del vertice per il Dialogo e la Cooperazione Asiatica, che si è tenuto a Doha lo scorso 3 e 4 ottobre, i ministri degli esteri del GCC e dell’Iran hanno tenuto discussioni informali preoccupati che le tensioni regionali potessero minacciare le loro industrie petrolifere.
Alla riunione, i ministri del GCC hanno rassicurato Teheran, promettendo il mantenimento della loro neutralità nel braccio di ferro tra Iran e Israele.
Sia l’Arabia Saudita che gli Emirati Arabi Uniti temono di essere trascinati in una guerra regionale che vedeva potenzialmente coinvolte le fazioni filoiraniane in Iraq o gli Huthi appoggiati da Teheran in Yemen.
Questi ultimi hanno già dimostrato la loro capacità di colpire obbiettivi importanti negli Stati del Golfo, molto prima di ribadire il concetto attraverso gli attacchi contro Israele perpetrati dopo la guerra di Gaza cominciata nell’ottobre del 2023.
Tuttavia, l’impegno preso dagli Stati del Golfo nei confronti di Teheran non significa che tutti i punti di frizione siano stati appianati.
Ad esempio, sia gli Emirati Arabi Uniti che il Kuwait hanno controversie territoriali aperte con l’Iran.
Abu Dhabi e Teheran rivendicano entrambe la sovranità sulle isole Abu Musa e Greater and Minor Tunbs, mentre il Kuwait si è trovato coinvolto in una controversia con l’Iran sui diritti di perforazione nel giacimento di gas Durra/Arash nel Golfo Persico, che rimane fonte di tensioni tra i due Paesi nonostante ci sia stata una svolta durante i colloqui che nel 2023 hanno cercato di risolvere la questione.
Per contro, l’Oman ha storicamente goduto di relazioni cordiali con l’Iran.
Gli Omaniti ricordano ancora quando negli anni ‘70 lo Shah fornì sostegno militare al sultano Qaboos per sedare la guerra del Dhofar (o guerra civile dell’Oman 1962-1976).
L’Oman ha anche resistito alle pressioni dei suoi alleati del Golfo che gli chiedevano di abbandonare la sua neutralità durante la guerra tra Iran e Iraq tra il 1980 e il 1988, a sostegno di Saddam Hussein.
Anche durante i successivi periodi di tensione che hanno coinvolto la Regione, Muscat e Teheran hanno continuato a cooperare su questioni come il mantenimento della stabilità nello strategico stretto di Ormuz, vitale per il transito del petrolio e gas esportati.
La neutralità dell’Oman in zone di conflitto cruciali come Yemen e Siria lo hanno reso un partner interessante, non solo per l’Iran, che ha influenza e interessi in entrambi i Paesi, ma anche per la Russia, che dal 2011 ha dato il suo appoggio militare al Presidente siriano Bashar al-Assadnella guerra civile che flagella la Siria, marcando una seria presenza nella regione.
Oltre al suo ruolo di mediatore, l’Oman è anche una meta promettente e strategica per il commercio russo.
Lo scorso primo ottobre, il capo del Consiglio della Shura dell’Oman, Khalid Al-Maawali,ha fatto una visita di tre giorni a Mosca, dove ha incontrato importanti dirigenti russi, tra in quali anche il Ministro degli Esteri Lavrov, e ha presentato l’Oman come destinatario privilegiato per gli investimenti del settore privato russo.
La visita è proseguita con la partecipazione dell’Oman al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, dove entrambe le parti hanno rafforzato la loro cooperazione in settori come la logistica e la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare.
Il commercio bilaterale della Russia con l’Oman è cresciuto notevolmente negli ultimi anni, passando da 84 milioni di dollari nel 2014 a 400 milioni di dollari nel 2023, mentre il volume degli scambi è aumentato del 60% dal 2022 al 2023.
Questo ha fornito uno sbocco vitale per la Russia, stretta nella morsa delle sanzioni occidentali per via della guerra in Ucraina, e reso il porto omanita di Sohar un hub fondamentale per la riesportazione di petrolio russo verso l’Africa orientale.
Anche gli investimenti dell’Oman hanno cominciato a fluire in Russia.
Un esempio. Nel 2022 il fondo di investimento statale dell’Oman Southern Sea ha acquisito una partecipazione nella società commerciale con sede a Mosca, Demetra Holding, uno dei maggiori esportatori russi di grano.
Lo spostamento di attenzione della Russia verso l’Oman arriva dopo le pressioni fatte da Washington sugli altri alleati del Golfo, in particolare gli Emirati Arabi Uniti, a prendere le distanze da Mosca.
In effetti, Washington ha alzato l’asticella sulla normativa riguardante le società e le banche russe attive negli Emirati Arabi Uniti, o collegate in qualche modo agli Emirati.
Le crescenti difficoltà nel fare affari, così come l’aumento del costo della vita a Dubai, hanno fatto sì che le imprese russe guardino sempre più all’Oman come valida alternativa.
L’Oman, comunque, anche se ben felice di sfruttare questi benefici economici cerca di affrontare con concretezza anche i rischi politici che possono nascere per questo avvicinamento a Mosca.
Sebbene gli Stati Uniti e i loro partner occidentali possano non essere del tutto a proprio agio per la relazione tra Oman e Russia, il ruolo fondamentale di Muscat per la sicurezza regionale ed energetica li porta ad andare oltre queste preoccupazioni.
Dal punto di vista di Washington, la neutralità dell’Oman non ha prezzo.
Aiuta il fatto che gli Stati Uniti dipendono molto dall’accesso ai porti e alle basi aeree dell’Oman, che servono a proteggere le rotte marittime e gestire le forze militari in Medio Oriente.
In caso di crisi con l’Iran, la cooperazione dell’Oman sarebbe di vitale importanza per garantire il libero passaggio del petrolio attraverso lo stretto di Ormuz e assicurare così gli approvvigionamenti energetici mondiali.
Oltre a svolgere questo ruolo critico nella politica di sicurezza regionale di Washington, Muscat ha assunto un ruolo chiave nella diplomazia statunitense, soprattutto durante l’Amministrazione Obama.
All’epoca, Washington iniziò a fare sempre più affidamento sulle capacità diplomatiche dell’Oman mostrate durante la guerra civile dello Yemen (2014), e nell’intermediazione, discreta ma fondamentale, nei negoziati che hanno portato nel 2015all’accordo nucleare multilaterale con l’Iran.
Anche se le relazioni USA-Iran si sono interrotte nel 2018, dopo il ritiro di Trump dall’accordo nucleare e l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani nel 2020, l’Oman è rimasto un punto di riferimento rilevante nei contatti dietro le quinte delle diplomazie di Washington e Teheran.
A dire il vero, altri Paesi del Golfo hanno avuto un ruolo di peso nella gestione delle attuali tensioni regionali, come il Qatar, negoziatore tra Israele e Hamas per la liberazione degli ostaggi e il temporaneo cessate il fuoco a Gaza.
Tuttavia, secondo gli analisti, il ruolo dell’Oman è insostituibile nel facilitare il dialogo, molto più di un semplice mediatore, una posizione resa possibile solo dalla sua rigorosa neutralità.
La capacità dell’Oman di controllare o gestire da solo le tensioni più grandi in Medio Oriente è ovviamente limitata.
Lo scorso 14 ottobre, per esempio, il Ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha annunciato la sospensione dei colloqui mediati da Muscat con gli Stati Uniti, appellandosi ai limitati progressi fatti.
Nonostante ciò, Araghchi ha elogiato il ruolo dell’Oman nel mantenere attivi i canali “non ufficiali”, dimostrando la fiducia che Teheran pone in Muscat come attore diplomatico.
Anche se Trump applicherà nuovamente una dura politica di sanzioni nei confronti dell’Iran, e una politica isolazionista nei suoi confronti, l’Oman rimarrà fermo sulla sua neutralità.
Ciò potrebbe distinguere ulteriormente Muscat dai suoi vicini del GCC, perché Riyad e Abu Dhabi potrebbero decidere di riavvicinarsi all’Amministrazione Trump, dati i loro legami più calorosi nei confronti di Trump rispetto al Presidente Joe Biden.
Sempre che le tensioni con l’Iran dovessero ulteriormente aumentare.
Sebbene l’Oman non abbia lo stesso peso degli Emirati Arabi Uniti, dell’Arabia Saudita o del Qatar nell’influenzare la Regione, la sua politica estera, ancorata alla neutralità e al mantenimento dell’equilibrio diplomatico tra Stati Uniti, Russia e Iran, lo ha reso un attore imprescindibile nella diplomazia regionale, rafforzando a sua volta la sua influenza geopolitica.
Più in generale, l’Oman esemplifica come le potenze mondiali che cercano di aumentare la loro influenza in Medio Oriente non possano farlo senza il tramite degli Stati del GCC.