Sopravvivere a Pasolini
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29 Luglio 2022

Sopravvivere a Pasolini

Per evitare che Pier Paolo Pasolini, a cent'anni dalla sua nascita, diventi una frase da leggere nei biscotti della fortuna, abbiamo una sola strada da percorrere: recuperare l'uomo e calarlo di nuovo nel suo contesto storico-artistico. Uno dei modi migliori per farlo è recuperare la biografia che di lui ha scritto Italo Moscati.

di Gianluca Vignola

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Sopravvivere a Pasolini. O meglio, sopravvivere a questo Pasolini. Al poeta corsaro citato nei post di Instagram, all’icona mummificata e poi esposta sui muri del Pigneto. Sopravvivere al «Cosa direbbe Pasolini, cosa farebbe Pasolini?».

Come mai, a cento anni dalla sua nascita, la voce di Pasolini continua a ronzarci nelle orecchie, solleticando quel senso di colpa che puntualmente non sappiamo risolvere, se ci mettiamo a parlare di lui?
Dice bene Walter Siti quando, all’inizio di un podcast realizzato da Chora Media e Istituto Luce, afferma: «P. non ha raggiunto la perfezione in nessun campo. Montale è un poeta migliore di lui, la Morante è stata un romanziere migliore di lui. Fellini è stato migliore di lui come regista. Lui però ha fatto tutte queste cose insieme, con mille contraddizioni. È diventato un personaggio pop, eppure oggi lo leggono in pochi».

Queste considerazioni di Walter Siti, attentissimo studioso dell’opera omnia di PPP, bene funziona per introdurre il libro di Italo Moscati edito da Castelvecchi, Pier Paolo Pasolini. Vivere e sopravvivere.

Una biografia del poeta bolognese che talvolta sembra un romanzo, talaltra un saggio a cui, volutamente, vengono recise le note a piè di pagina senza però perdere un briciolo di validità scientifica. Siamo dalle stesse parti di Ugo Pirro, quando raccontava in Celluloide la genesi rocambolesca di Roma città aperta, film rivoluzionario di Roberto Rossellini.
O ancora, per approccio e fruizione, ricorda l’accuratezza di Marco Santagata quando scriveva Dante. Il romanzo della sua vita

Moscati è sostanzialmente dello stesso parere di Walter Siti. Così come era già accaduto per D’Annunzio e Curzio Malaparte, anche Pasolini diventa, nel suo momento storico, una vera e propria public figure: «l’artista che oltrepassa i limiti della letteratura per sconfinare con la sua notorietà e la sua influenza nel costume».

Allora possiamo provare ad abbozzare una risposta alle domande abbozzate in principio: nel suo essere pasticheur, come egli stesso proverà a definirsi, Pasolini anticipa una cifra essenziale del post-modernismo, ovvero la transmedialità.
Ma la sua non è una transmedialità di contenuto. È una transmedialità che riguarda la figura-Pier Paolo Pasolini.
Un esempio: il soggetto de La comare secca, scritto per l’esordio alla regia di Bernardo Bertolucci, che potrebbe essere tranquillamente inteso come uno spin-off di Mamma Roma. Il legame tra le due opere non è narrativo, ma di immaginario. 

Ma uno dei rischi della transmedialità è la fugacità del contenuto, condannato ad avere senso soltanto nella piattaforma per cui è stato pensato.
Ecco perché dovremmo sopravvivere a questo Pasolini, un Pasolini contemporaneo che viene gettato in pasto non più alla critica benpensante del suo tempo, bensì alle declinazioni omnicanali dei media contemporanei.
Se il contesto attorno ad un autore collassa, la sua opera viene cristallizzata, così perdendo il senso e l’orizzonte in cui erano nate quelle intuizioni.  

Bene allora fa Moscati a ricostruire meticolosamente non solo la biografia del poeta, ma anche a sottolinearne i vizi, le contraddizioni, i limiti. Insomma, tornare a Pasolini per vivere e sopravvivere. Altrimenti non rimarrà che il sogno di una cosa.