Siria come Icaro nel volo pindarico

No Assad, no party. A Damasco il clima è un po’ questo. Bashar al-Assad, ex Presidente siriano, è fuggito chiedendo aiuto a Mosca come si fa con i fratelli maggiori. Ma questo è più un compito americano. Difendere, salvare. Così la situazione rimane quella che è: Assad a Mosca, Damasco a Damasco e il Paese nel caos.
Tredici anni, lunghi, intensi per spodestare una tirannia a conduzione familiare iniziata con Hafiz al-Asad. Era il 2011 quando la primavera araba investì anche la Siria. Non era previsto che la Turchia e l’Egitto fossero un esempio così forte a trasmettere il messaggio “è ora di ribellione”. Invece vollero la guerra e fu civile. Ribelli contro governo. Ma facciamo un passo indietro…
Undici giorni verso la distruzione
Che piaccia o no la Siria è uno Stato in caduta libera. La fine del regime di Assad ha lasciato un vuoto di potere che ha consegnato il Paese ad un’opposizione frammentata e senza una fazione abbastanza forte per dominare le altre e governare. In fondo fino a novembre del 2024 in Siria il governo aveva retto, anche se autoritario.
Sono bastati undici semplici passi per avvicinare la Siria al suo fallimento. Il 30 novembre Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), una milizia islamista siriana di natura alawita, che governa Idlib, è entrata ad Aleppo senza trovare la resistenza dei gruppi armati. L’obiettivo, sostiene il loro capo, Mohammed Al Jolani, era solo quello di spostare la linea del fronte un pò più in là. Inaspettato il risvolto dei giorni successivi.
Il 5 dicembre è caduta Hama, a metà strada da Aleppo e Damasco, due giorni dopo HTS ha conquistato Homs e a sud è entrato nel cuore della Siria, Damasco. L’8 dicembre l’opera si è conclusa con Assad già nascosto in Iran insieme alla sua famiglia. Eppure il festeggiamento della liberazione dalla dittatura di Assad è effimero, la tempesta dietro l’angolo.
La preoccupazione maggiore sul futuro della Siria è chi prenderà le redini della nazione? Al momento i miliziani di Hay’at Tahrir al-Sham hanno istituito un governo di transizione, per un periodo di 18 mesi necessari a realizzare “un ambiente sicuro, neutrale e tranquillo per elezioni libere”. Nel frattempo continua a piovere su una situazione interna alquanto complessa.
Di Padre in Figlio
Come tutte le storie che si rispettano anche qui c’è un inizio e una fine. Inizia con Bashar Al-Assad, figlio di Hafiz Al-Assad, presidente siriano più longevo, dal 1970 al 2000, che diede una stabile vita istituzionale al Paese, dopo decenni di colpi di Stato. Il giovane Assad era lontano dalla possibilità della carriera presidenziale. Sia per lo scarso interesse dimostrato per la politica, sia perché il successore era il fratello maggiore Basil al-Assad che però è morto in un incidente stradale nel 1994.
Il 2000 è l’anno che gli consegna le chiavi per governare: il genitore muore ed eredita la presidenza. A spianargli la strada è anche una modifica della legge del Parlamento che prevedeva un’età minima di 35 anni per assumere la carica, mentre Bashar ne aveva ancora 34 con uno scarto di due mesi.
Le aspettative sono tante in fondo è stato medico a Londra, l’Occidente lo conosce e la creazione di una Nuova Siria, più moderna, è una possibilità da non escludere. Tuttavia il regime rimane autoritario. A marzo 2011 la popolazione scende in piazza per manifestare a Daraa. Come una cascata altre città siriane tra cui Homs, Hama e Damasco, seguono le proteste che contagiano tutto il Paese.

Dagli anni d’oro di Assad al tramonto del regime
Dal 2012 iniziano gli anni d’oro di Assad: la riconquista di Aleppo nel 2016, il sostegno diplomatico logistico e militare di Russia e Iran hanno consolidato il suo potere, mentre la popolazione vive una situazione di povertà diffusa. La morsa si stringe con il 2020, il conflitto civile si stabilizza, ma la situazione economica diventa insostenibile. Nuove sanzioni dall’America per crimini di guerra e la svalutazione della lira siriana a cui Assad risponde con il divieto di utilizzo di moneta estera riducendo però fortemente il potere di acquisto della popolazione e incentivando l’inflazione.
Ecco che la fragilità bussa alla porta e a novembre del 2024 la debolezza delle istituzioni da man forte alle azioni dei ribelli sospinti anche dal fatto che Russia, Iran e Hezbollah non sono più presenti come prima. Putin ha la guerra in Ucraina da gestire, Teheran ha perso spazio d’azione con il nuovo governo sunnita in Siria. Hezbollah invece è stato indebolito dalla perdita del suo leader storico Hassan Nasrallah. Come in Iraq nel 2003, il crollo del regime ha istituito un’onda d’urto verso il resto dei settori della società. La politica già fortemente affaticata trascina con sé l’economia e i diritti civili.
I fattori di criticità della Siria
La Siria è uno Stato che non può più vantare quel nome. Le potenze regionali vogliono sfruttare la sua frammentazione e instabilità interne. Ognuno vuole la sua parte. L’Iran, importante alleato di Assad, ha come obiettivo l’alleanza con la Siria come tassello dell’”Asse di Resistenza”. Arabia e Qatar puntano a far parte della ricostruzione post-bellica siriana per contrastare la presenza dell’Iran nella regione, mentre la Turchia ha il grattacapo della questione curda. I gruppi YPG e SDF hanno contatti con il PKK di Öcalan e potrebbero influenzare la situazione interna in Turchia, dove i sentimenti separatisti sono alti.
Si aggiunge una composizione etnico-religiosa complessa. Circa il 65-70% della popolazione è sunnita e convive con una moltitudine di minoranze: gli alawiti(sciiti), i curdi del nord-est della Siria, spesso in conflitto con i gruppi arabi locali, i cristiani e i drusi. In particolare le tensioni tra sunniti e alawiti sono stati un fattore chiave nella guerra civile. La dinastia di Assad è alawita e ha monopolizzato le posizioni di potere suscitando malcontento. Molti sunniti infatti lo hanno interpretato come una forma di discriminazione settaria.

La gestione centralizzata e repressiva del regime, poi, ha fortemente inciso su un’economia disastrosa a cui le sanzioni occidentali hanno dato il colpo finale. Hafiz Al-Assad progettò il settore economico in stile sovietico, quasi senza libertà d’impresa e ora la nuova amministrazione Trump che tira dazi a destra e manca, potrebbe ostacolare le esportazioni siriane e l’ingresso degli aiuti umanitari.
Tutto quanto ciò grava su una Siria che collassa dall’interno, sulle ceneri di un regime che ha spremuto il Paese fino al suo massimo, lasciandolo in balia di sé stesso e sotto gli occhi degli attori geopolitici internazionali. Adesso è il momento delle risposte. Che cosa ne sarà della popolazione siriana?