Intervista a Elisa Seitzinger: “Gli illustratori sono coloro che non smettono mai”
Abbiamo incontrato Elisa Seitzinger e siamo rimasti affascinati da lei, dalla sua arte e dal suo carisma. Sedute a un tavolo di un locale di Torino, abbiamo chiacchierato mentre il tempo passava senza che ce ne rendessimo conto, immerse tra storia personale e universale, cultura e passioni.
La spiritualità incrocia l’esoterismo e insieme incontrano il talento, ecco: il risultato è l’arte di Elisa Seitzinger. Illustratrice e artista visiva, si è formata tra Firenze, Atlanta, Nizza e Londra. Ha insegnato all’Istituto Europeo di Design di Torino, città in cui risiede stabilmente dal 2001.
Nella sua arte l’immaginario profano si incontra con quello sacro, ideando icone pop che diventano codici stilistici della nostra generazione. Le illustrazioni rappresentano una virtuale stretta di mano tra le vetrate delle cattedrali gotiche e l’iconografia medievale, con colori digitali fluo e pop che fanno solo da accessorio a un tratteggio manuale che ne è la struttura portante, lo scheletro poi messo in movimento dal colore.
Il suo portfolio vanta un vasto ventaglio di collaborazioni tra cui quelle con La Repubblica, L’Espresso, RAI, BBC, National Geographic e il Salone Internazionale del Libro di Torino, per il quale ha ideato i manifesti delle ultime due edizioni: Vita Nova e Vita Supernova.
Venerdì 29 ottobre Elisa sarà a Roma per inaugurare la mostra “Nome non ha” presso la libreria Marini, cui seguirà (il 31) la presentazione del libro nato dalla cooperazione con Loredana Lipperini. Fino al 1 novembre, invece, alcune sue illustrazioni saranno presenti al Palazzo Madama di Torino, in occasione della manifestazione gastronomica Buonissima 2021, con l’esposizione Grani D’Autore: dalla semina al raccolto del grano duro Barilla, a cura di Maria Vittoria Baravelli.
Elisa è una donna che si è fatta da sola, che ha esplorato il mondo ma anche se stessa e che ogni giorno, con le illustrazioni, ci dona un pezzo della sua intimità. Ecco la nostra intervista.
Ciao, Elisa! Con la tua arte hai girato il mondo, come mai hai scelto poi di porre la tua base a Torino?
Sono a Torino da tantissimo tempo, credo di essermi trasferita qui nel 2001. Dopo il primo anno di università a Firenze, sono andata a studiare negli Stati Uniti, ad Atlanta, per poi approdare allo IED di Torino, dove mi sono diplomata in illustrazione editoriale, e al DAMS, dove ho conseguito la laurea in indirizzo Arte. Ho vissuto a pieno l’età d’oro dei Murazzi, come diceva anche Vinicio Capossela al Salone, tra il divertimento nel lungo Po e l’esoterismo torinese. Inizialmente ho aperto uno studio di illustrazione commerciale insieme a due miei amici, però sentivo l’esigenza di intraprendere un percorso autoriale personale, per cui circa sei anni fa è nato il mio progetto di Elisa Seitzinger.
Hai nominato Vinicio Capossela. Il vostro incontro è stato l’abbraccio tra due innamorati del mondo medievale. Com’è nato tutto?
Paradossalmente, è stato lui a trovare me. Passava da Gravina di Puglia mentre un collettivo artistico di amici, gli Organic, stava presentando un progetto dedicato a Papa Formoso, un pontefice dell’Alto Medioevo processato da cadavere. Al tempo, riesumato il corpo e imbalsamato, un ventriloquo aveva risposto alle accuse a lui rivolte per consentire il passaggio di consegne al successore. Gli Organic avevano realizzato un concept album prog rock contaminato con strumenti musicali della tradizione locale, e io mi ero occupata delle illustrazioni. Intanto Vinicio era lì per fare foto per il suo progetto sul Medioevo. Visti i miei disegni, si è innamorato e mi ha invitato a un suo concerto al Colosseo. Quella sera non parlammo però di “Bestiario d’amore”, solo dopo un mesetto mi ha richiamato proponendomi di collaborare. Avevamo poco tempo a disposizione prima della stampa, però Vinicio mi ha dato fiducia assoluta, per cui ho curato tutto il progetto grafico di questo scrigno prezioso contro il mordi e fuggi del consumismo musicale.
Dimmi invece uno scrittore, un santo e un regista da cui trai ispirazione.
Scrittore sicuramente Calvino, sono molto legata a lui perché uno dei miei primi progetti artistici partiva proprio da “Il castello dei destini incrociati”. Calvino fa perdere la parola ai suoi personaggi e li fa esprimere attraverso l’uso delle carte. Da qui partiva la mia idea, collegata anche al significato divinatorio degli arcani minori e allo schema della fiaba di Propp. Come nel cammino dell’eroe, lo strumento dei tarocchi è iniziatico, dal folle ti ricongiungi all’universo per ritornare poi alla libertà del folle, passando attraverso tutta una serie di momenti chiave che si intrecciano, come l’eroe di Propp che da poveretto sposa la principessa e diventa re. Nel mio mazzo di tarocchi, i personaggi diventano eroi contemporanei. Riguardo al regista, invece, ti dico Jodorowsky e come santo senza dubbio Santa Lucia, la protettrice della vista, e della mia carriera.
Rimanendo in tema spirituale, che rapporto hai con la fede?
Non sono religiosa, mi ritengo agnostica, però mi interessano gli aspetti simbolici della religione. Potrei considerare la Chiesa come la più grande multinazionale di sempre, i cui simboli sono come loghi, un interessante esempio di sintesi comunicativa che mi stuzzica. Ogni simbolo è una sorta di amuleto, un dono che ci facciamo per proteggerci.
La spiritualità, in tal caso sibillina, è presente in “Nome non ha”, progetto nato dalla collaborazione con Loredana Lipperini. Parlacene.
“Nome non ha” nasce a luglio, quando mi contattano le editrici di Hacca e mi propongono quest’idea, dicendomi che è nelle mie corde. Decido di leggere la storia e mi rendo conto che avevano ragione, per cui a settembre mi immergo nel progetto. Parla di una Sibilla non codificata da Varrore, una outsider dell’entroterra marchigiano. Il libro di Loredana parte da una storia contemporanea per poi immergersi nello scenario sibillino. La copertina è una bocca spalancata, l’invito a entrare nell’antro della Sibilla per scoprire la sua storia.
Ci siamo incontrate per la prima volta al Salone del Libro di Torino, per il quale hai ideato i manifesti di Vita nova e Vita Supernova. Qual è stato il tuo acquisto di questa edizione?
Ho comprato tantissimi libri per mia figlia, tra cui alcuni anche da regalarle per Natale. Vinicio Capossela mi ha donato “Eclissica” e ho cercato anche un volume di Adelphi che, però, non ho trovato: “Psicologia alchemica” di James Hillman.
Facciamo un passo indietro, il tuo primo ricordo legato all’arte.
La Chiesa medievale di San Giulio sul lago d’Orta, un luogo del cuore della mia infanzia. All’interno c’è un affresco con un angelo cherubino avvolto dalle sue ali come se fossero un mantello, ali coperte di occhi che ritroviamo anche sulle sue mani. Questo dettaglio è presente inconscio nella mia arte, ho avuto l’epifania dopo diversi anni, quando sono ritornata lì da adulta con il mio compagno.
Infine, chi è stata la prima persona che ha creduto in te?
Proprio lui, il mio compagno. Io ho sempre avuto la passione per i disegni sin da bambina, gli illustratori sono coloro che non smettono mai nonostante intraprendano strade lavorative differenti. Tommaso è un bravissimo direttore creativo e mi ha aiutato a far venire fuori il mio aspetto autoriale, sostenendomi ed esortandomi a rischiare. Mi dispensa sempre consigli preziosi e mi arricchisce, condividiamo le stesse passioni e viaggiamo su binari paralleli; siamo sulla stessa lunghezza d’onda.