LA DIVINA MARCHESA
Può la vita divenire arte? Può una donna trasformarsi in opera d’arte vivente? Luisa Casati, conosciuta nelle cronache dell’inizio Novecento con l’appellativo dannunziano di “divina marchesa”, è riuscita, in un periodo che possiamo ascrivere tra la belle epoque e i così detti anni folli, a racchiudere in se stessa la riposta alle nostre domande.
La mostra che si terrà fino al giorno 8 marzo 2015 presso il museo Fortuny di Venezia, porta alla ribalta la figura di questa donna, l’unica che Gabriele D’Annunzio stimò veramente, attraverso una temporanea che la celebra non solo come amante del Vate, con il quale ebbe una lunga relazione ed una profonda ed intima amicizia, ma come anticipatrice dei tempi, amante della moda e dell’arte, mecenate e collezionista, musa ed interprete di un periodo storico ed artistico che dal decadentismo passa al futurismo e si scioglie nel surrealismo.
La sede museale scelta non è del resto casuale se si pensa che a Venezia, la Core dannunziana aveva incontrato Mariano Fortuny, stilista capace di concretizzare l’universo onirico trasgressivo e di immortalare la mutevolezza dell’animo trasformista della marchesa. La Casati, attraverso la promozione ed il supporto agli artisti, mediante gli incontri e le sue apparentemente banali frivolezze, animava con passione e dualità le notti dell’alta società europea facendo divenire lei stessa, il suo corpo, il suo movimento, la sua immagine opera d’arte a tal punto da poter ritrovare in ciò un antesignano germe della body art e dell’arte performativa. Tale attitudine si percepisce nelle performances trasgressive ed eccentriche, nella vita vissuta sopra le righe che la getta nell’universo underground più dark e occulto, nel suo essere egocentrica e narcisista, nel suo trucco esagerato: occhi bistrati e pupille dilatate dalla belladonna, carnagione chiara, labbra scarlatte e capelli rossi che le permettevano di giocare il ruolo di femme fatale, sirena ammaliatrice e strega mortifera.
Colpisce, passeggiando nelle sale che respirano l’atmosfera del tempo grazie ai contrasti netti tra luce ed ombra, ai broccati pesanti, l’attualità di una donna che ha vissuto nell’arte e per l’arte, circondata da uomini che non sono riusciti a domarla ma che hanno contribuito più o meno consapevolmente alla creazione della sua prigione dorata. La marchesa diviene, attraverso gli accenni fatti da D’Annunzio in “Notturno”, ai ritratti di Boldini, ai dipinti di Carrà e Balla, alla celebre fotografia di Man Ray, simbolo perduto di un’epoca, musa inquieta ed inquietante, capace di fondere vita ed arte e perdersi, ritrovarsi e cancellarsi definitivamente attraverso di essa.
Non sorprende, quindi, vedere emergere il concetto di doppio in tutta l’esposizione, la dualità dell’individuo in continua lotta tra apollineo e dionisiaco, tra vita e morte, tra sacro e profano. Tale dualità compare non solo nei ritratti, ma anche nella passione, condivisa con il Vate, per l’occulto, la stregoneria, mistione di arte bassa e alta, magia arcaica e rituali abruzzesi uniti all’ermetismo ebraico e alla divinazione, che trova il suo apice nella ceroplastica, statue in cera che concretizzavano il doppio dell’essere vivente, bersaglio per strali di morte o soffi di vita; non ci lascia perplessi, quindi, sapere che la marchesa regalò a D’Annunzio una di queste cere con le sue sembianze e il poeta ricambiò il gesto con un dono identico, un modo per creare una mistica sovrapposizione tra cera e carne, tra esserci e non esserci, tra presenza ed assenza, mancanza che permise di legare il cuore del poeta a lei per anni. Del resto la dualità è insita nella stessa idea di donna, nel suo legame con il peccato, allegorizzato dal serpente, animale con il quale la Casati si faceva spesso ritrarre e che saltuariamente “indossava” alle feste.
Il potere della mostra, nonostante la bonaria confusione espositiva insita nella sede, suo pregio e suo difetto, non è solo dal punto di vista artistico e letterario, ma va oltre; in un momento storico nel quale le donne delle nuove generazioni perdono loro stesse per uomini che non le meritano, la personalità di Luisa Casati diviene un modello di forza e di determinazione anche e soprattutto nei suoi rapporti con gli artisti, non personaggio secondario ma protagonista; non semplice oggetto di piacere ma di desiderio e di astuta intelligenza; non banale strega, ma detentrice di antichi saperi; non solo marchesa, ma divina.
Didascalie immagini
Man Ray, La marchesa Casati come Elisabetta d’Austria, 1935. Gelatina bromuro d’argento, 18 × 11,2 cm. Parigi, collezione Gérard-Levy. © Man Ray Trust by SIAE 2014.
Guelfo Civinini, Gabriele d’Annunzio, s.d., con dedica del 19 dicembre 1923. Fotografia, 245 × 175 mm. Roma, collezione Raimondo Biffi
Scheda tecnica
La divina marchesa. Arte e vita di Luisa Casati dalla Belle Epoque agli Anni Folli, fino al giorno 8 marzo 2015, Palazzo Fortuny, Venezia.
Orario: 10.00-18.00 chiuso il martedì.
Biglietti: adulti 12 euro; ridotto 10 euro
Giulia Jurinich
15 ottobre 2014