Memorie d’una ragazza perbene: il principio del femminismo che serve ancora oggi

Memorie d’una ragazza perbene è il primo tempo dell’autobiografia di Simone de Beauvoir, una delle madri del femminismo moderno. Pubblicato nel 1958, il libro racconta infanzia e adolescenza di una donna che vuole innanzitutto essere libera. La famiglia borghese in decadenza, il desiderio di emanciparsi attraverso l’istruzione, la monotonia di una vita che ti vuole moglie e madre, in una società bigotta e patriarcale: questi i temi principali del romanzo che vede la nascita e lo sviluppo del pensiero femminista di Simone de Beauvoir e la sua voglia di lottare per la parità di genere.

Il racconto
Il libro narra sostanzialmente della prima giovinezza dell’autrice, dei rapporti con la madre e la famiglia, dell’educazione cattolica e ferrea che riceve, delle letture che la assorbono, degli studi alla Sorbona e degli incontri che la fanno crescere intellettualmente. Simone, col tempo, capisce perfettamente cosa vuole e cosa no, sceglie consciamente di rinunciare a una vita convenzionale e decretata da altri, perché l’autodeterminazione e l’indipendenza diventeranno il cardine su cui fondare la sua felicità. Così l’autrice cresce, fisicamente, interiormente e socialmente, esce dal guscio familiare che da sempre la opprime, impara a ragionare su sé stessa e si rapporta con il mondo e le persone. Queste relazioni la definiscono: il cugino Jacques del quale per lungo tempo si crede innamorata, la sorella Poupette, con cui crescendo stabilirà un rapporto intimo ed esclusivo, la migliore amica Zazà, vittima inerme della società estremamente cattolica e “perbene” appunto. Simone subisce i limiti e le reti dell’universo borghese in cui è chiusa, eppure riesce a trovare nella scrittura e nella filosofia il modo di vivere secondo una necessità, con la stessa lucidità con la quale scrive le sue Memorie.

Il femminismo
Simone de Beauvoir – ne avevamo parlato qui – viene considerata una delle fondatrici del movimento femminista, grazie alla sua rifondazione teorica del femminismo, che mira a dare dignità alla figura della donna, analizzandone la condizione di subordinazione rispetto al sesso maschile. Lo fa attraverso una prospettiva filosofica esistenzialista e sostenendo che ogni essere umano, uomo o donna che sia, ha una coscienza ed è dunque libero. Il principio operativo del suo pensiero è il Manifesto delle 343 puttane del 1971, firmato da 343 fra intellettuali, attrici, e donne comuni che si autodenunciavano per avere abortito, pratica che al tempo veniva punita con la detenzione da 3 mesi a 6 anni. Nel frattempo, l’autrice non smette di interrogarsi sulla gestione di un rapporto uomo-donna finalmente alla pari, che sembra coronato dall’incontro con Jean Paul Sartre, suo compagno e amante per la vita. Così, sulla scia del socialismo marxista, Simone perseguirà tutta la vita la via dell’emancipazione femminile, della donna indipendente, attraverso la presa di consapevolezza della propria condizione e la partecipazione a un movimento collettivo: le donne devono unirsi tra loro e anche con gli uomini per combattere insieme contro le disuguaglianze. In un momento storico in cui ancora si lotta strenuamente per assicurarsi i diritti fondamentali quali la garanzia di poter abortire, la filosofia di Simone de Beauvoir risulta tristemente attuale.