Artecinema: Napoli crocevia di culture
Inaugurata a Napoli l’11 ottobre al Teatro San Carlo, la ventottesima edizione del Festival Artecinema si conferma un appuntamento imperdibile per gli amanti dell’arte contemporanea.
Una settimana dedicata all’arte, alla fotografia e all’architettura contemporanea che propone una selezione di documentari di recente pubblicazione volti alla scoperta delle biografie dei maggiori protagonisti della scena artistica contemporanea. Gli spettatori hanno la possibilità unica di conoscere intimamente gli artisti che raccontano le loro vite e aprono per la prima volta le porte dei loro studi.
Non solo il San Carlo, ma anche il Museo Madre e il Teatro Augusteo hanno ospitato alcune serate del festival con proiezioni dal 12 al 15 ottobre. Come da tradizione, Artecinema riconferma l’impegno assunto nel campo sociale, estendendo la propria presenza anche fuori dai teatri. Il festival si fa strada verso le scuole e le università, proponendo proiezioni appositamente pensate per coinvolgere gli studenti. In collaborazione con docenti e registi dei film, vengono organizzati dibattiti e seminari incentrati su specifiche tematiche d’attualità.
Steve McCurry, a visual storyteller
Il 14 ottobre, al teatro Augusteo, è stata proposta al pubblico la proiezione del documentario “La ricerca del colore”, diretto dal regista francese Denis Delestrac, sulla vita del fotografo Steve McCurry. Il documentario è un’ottima occasione per conoscere l’uomo dietro al mito della fotografia della “Ragazza Afghana”, una delle più famose ed emblematiche foto mai scattate. Il lungometraggio racconta i passi dei 40 anni di carriera di McCurry, dalla guerra in Afghanistan, al conflitto in Kuwait, fino a svelare i retroscena della vita che conduce oggi il fotografo. Il documentario è arricchito dalle testimonianze di alcuni amici di infanzia, familiari e colleghi di McCurry. L’inizio di tutto è senza dubbio l’India: il giovane fotografo decide di partire dopo essere rimasto esterrefatto dalle immagini della stagione dei monsoni indiani del fotografo Brian Brake.
Dopo una lunga permanenza in India in cui scopre e si innamora dei rullini a colore, McCurry si sposta prima verso il Pakistan e poi raggiunge il confine con l’Afghanistan. È il 1979 e i guerrieri Afghani, i Mojahedin, chiedono al fotografo di unirsi a loro per raccontare al mondo cosa stesse accadendo. È solo con l’intervento dell’Unione Sovietica che il conflitto Afghano inizia a riscontrare attenzione dal resto del mondo. L’Afghanistan è in prima pagina sui giornali di tutto il mondo e a raccontare agli occhi increduli dell’occidente cosa stesse accadendo su quelle montagne è proprio l’obiettivo di Steve McCurry.
“Non è lui che ha scelto di raccontare la guerra, è stata la guerra a scegliere lui”.
McCurry, con la sua riservatezza, non perde occasione per ribadire al pubblico la definizione del suo lavoro e del suo scopo: non si definisce un fotografo, lui è un visual storyteller. Ha solo l’innata passione di catturare le emozioni più profonde dei suoi soggetti e rinchiuderle in un click.
Contro il polverone che si alzò nel 2016 per le accuse di aver ritoccato le sue foto, McCurry dice che lui scatta per se stesso, per la sua passione e per assecondare il suo scopo di raccontare la specie umana in tutti i suoi colori e in tutte le sue contraddizioni. Dunque, non c’è alcun inganno: la passione e l’obiettivo di catturare l’essenza delle persone rimangono al centro del suo lavoro.
Steve McCurry continua ad essere un testimone prezioso delle vicende umane, attualmente è impegnato nella raccolta di materiale sulle specie in via di estinzione e sui luoghi segnati dal cambiamento climatico. Il fine del suo lavoro attuale è quello di lasciare una traccia visibile alle prossime generazioni di quello che il mondo è oggi e che probabilmente non sarà più domani.
La visione del lungometraggio rappresenta un’opportunità unica per comprendere meglio lo straordinario contributo e le storie autentiche che si celano dietro i suoi iconici scatti.