Dumbo alla fine spicca il volo
La fantasia è una di quelle caratteristiche che è di casa nei cuori e nei cervelli di pochi eletti.
C’è chi ci prova, chi studia un metodo per dimostrarsi all’altezza, chi tenta di sfruttare tutte le tecnologie che gli anni 2000 ci offrono, ogni giorno con delle nuove varianti. Spesso però il risultato si dimostra deludente, affatto originale, anzi ridondante, una copia mal riuscita o semplicemente più moderna di qualcosa che già esisteva.
Così succede di frequente con i remake dei film che magari sono usciti fin troppi anni fa e che forse bisognerebbe lasciarli in pace, farli riposare nel loro status di pellicole che hanno saputo emozionare e andare avanti.
Oltre a questa categoria si aggiunge oggi anche quella dei live action dei cartoni (Disney e non) che sembra aver preso piede talmente in fretta, da avere in programma molte uscite: Aladdin, Il Re Leone, Dumbo.
Il primo a uscire nelle nostre sale italiane è proprio la storia dell’elefante dalle grandi orecchie che sapeva volare: dopo molte voci contrastanti sulla riuscita di questo film, Dumbo arriva al cinema e dimostra tutto il contrario di quello che si poteva temere da un live action con protagonista un animale così poco casalingo.
Tim Burton dà prova in questa pellicola di essere dotato di quel tipo di sensibilità e di fantasia che già impregna i suoi film da sempre, ma che in questa occasione ha saputo dimostrare di “sentire” davvero i sentimenti e le emozioni umane, di cui questa storia è piena.
Un piccolo elefante che nasce all’interno di una compagnia circense e che fin dall’inizio presenta questo paio di orecchie davvero grandissime, come ugualmente sono grandi i suoi occhi blu. Ma invece che essere colpiti dalla tenerezza di un cucciolo semplicemente diverso dai canonici standard, la maggior parte delle persone lo considera un mostro, un essere da nascondere e che può al massimo essere in grado di scatenare delle risate tra il pubblico, perché goffo e buffo tanto da essere chiamato “Dumbo” (vedi: stupido).
Perché quello che è diverso viene definito sbagliato? O stupido? O semplicemente da emarginare? Mai argomento può essere considerato più attuale ad oggi, ma questa tendenza è tale dalla notte dei tempi e non sembra voler scomparire dalla nostra società, mai.
Tim Burton riesce però a prendere quelle caratteristiche del cartone animato, uscito al cinema nel 1941, che scatenano nel pubblico un sentimento forte di tenerezza, ma anche di ingiustizia, di appartenenza, di cambiamento. Lo stesso regista afferma di essersi dedicato a questo progetto con entusiasmo proprio perché è rimasto profondamente colpito dalle molteplici emozioni umane che sono forse le vere protagoniste di questa storia: non soltanto la vicenda di Dumbo, ma anche quella legata a Holt e ai suoi due figli MIlly e Joe, che si trovano anche loro (proprio come il cucciolo di elefante) senza una mamma e con un papà che non sa davvero come gestirli. Perché la mamma ha quel tipo di sensibilità che per definizione forse l’uomo spesso non ha (anche se questa non è sempre un’equazione esatta), e quando viene a mancare quel punto di riferimento allora tutto l’equilibrio su cui si fonda il nucleo familiare, si schianta a terra.
Alcune scene sono state davvero solamente trasposte dal cartone al film, come uno dei momenti più teneri di questa storia: l’abbraccio tra Dumbo e la sua mamma Jumbo, fatto di due proboscidi che si intrecciano attraverso le sbarre della gabbia, in cui è rinchiusa l’elefantessa. Non si è mai visto un momento di affetto più vero e sentito, nemmeno negli esseri umani (e questo a conferma del fatto che gli animali sono davvero in grado di dimostrare un tipo di emozione molto più complesso rispetto a quelle umane).
Forse non poteva esserci un regista più calzante per questa storia, lo stesso Tim Burton rivela di essersi sentito molto vicino al personaggio di Dumbo: questo perché lo stesso elefantino è un outsider e quindi può rappresentare chiunque si senta diverso, strano, preso in giro per il aspetto fisico o per un qualche tipo di disabilità, ma che spinto dal coraggio sfrutta tutto questo per fare qualcosa di bello, come volare.
Le storie umane si intrecciano tra di loro in questo film, scorrono anche su dei binari molto vicini: tutte le vicende singole creano dei parallelismi tra di loro, perché quel senso di smarrimento che appartiene ai protagonisti di questa storia, li spinge a creare una sorta di famiglia allargata. Forse non nel senso più comune del termine, perché tra di loro non ci sono legami familiari “di sangue”, ma c’è il rispetto e la volontà di aiutarsi e venirsi incontro, creando una squadra che aiuta anche il piccolo Dumbo a ritrovare la sua mamma, ad affrontare le sue paure. Perché i piccoli sono spesso poi quelli che si rivelano i più coraggiosi e più capaci di capire come poter sfruttare i loro limiti per trasformarli in emozioni e possibilità, tutte nuove.
Rebecca Cauda