Corvetto: impariamo il rispetto, o almeno il diritto

Nell’ultima settimana Corvetto, quartiere dell’hinterland milanese, è stato al centro della cronaca nazionale, a causa del tragico incidente occorso tra uno scooter e una pattuglia dei Carabinieri.
In breve, lo scooter guidato dal 22enne Fares Bouzidi, con a bordo il 19enne Ramy Elgaml, non si è fermato all’alt dei Carabinieri presso un posto di blocco: da ciò è scaturito un inseguimento di circa 8km che si è tragicamente concluso con lo schianto dello scooter contro un palo, la morte sul colpo di Ramy e il ricovero di Fares.
Attualmente il GIP ha convalidato l’arresto di Fares, già con dei precedenti penali, per resistenza a pubblico ufficiale, e contemporaneamente si indaga rispetto alla condotta tenuta dalla pattuglia dei Carabinieri durante l’inseguimento.
Quanto riassunto sopra in poche righe, è stato spolpato dalla politica e dai salotti intellettuali, che di intellettuale mantengono ben poco da quando si sono interamente venduti al gettone di presenza televisivo, in una forma rude e barbara, pari a quella di un naufrago affamato che addenta per sopravvivere una bestia ancora morente.
Dimenticando tutti troppo spesso il cardine garantista del nostro ordinamento penale, è opportuno ricordare come tanto Fares quanto i Carabinieri in servizio siano ad oggi innocenti, e solo il giudizio definitivo saprà dirci come davvero sono andati i fatti.
Purtroppo il garantismo è un principio troppo spesso dimenticando nell’epoca in cui si tifa la propria idea come sugli spalti dello Stadio Olimpico, e tutta una certa parte, politica o politicizzata, ha utilizzato questa tragedia per instillare o fomentare un sistematico odio verso le Forze dell’Ordine, tra cui il Professore Roberto Vecchioni, che, a discapito della sua saggia qualifica, sembra non ricordare come non sia opportuno dare giudizi dall’alto di una trasmissione TV senza prima sapere come siano andate le cose, e che anzi spesso queste aspre critiche nei confronti degli uomini che operano a servizio dello Stato portino a situazioni come quella dello scorso inverno, in cui i figli dei poliziotti coinvolti negli scontri di Firenze e Pisa non sono andati a scuola per settimane, per poter sfuggire al clima di odio che si riversava anche su quei ragazzi innocenti: ma si sa, i professori hanno sempre fatto le loro preferenze in classe.
L’altra faccia della medaglia di cioccolato è la “curva” che si lava le mani della vicenda, dicendo che quei ragazzi “se la sono cercata” e screditandoli, spesso anche in conseguenza dei precedenti penali o dell’origine.
Se si riuscisse a scendere dal piedistallo del populismo verrebbe da chiedersi, quale essere umano potrebbe davvero pensare che un ragazzo di 19 anni, neanche alla guida, “si sia cercato” la morte?
Quale dei figli di chi giudica così aspramente, anche lui senza conoscere, vorrebbe uscire di casa per morire schiantato su un palo?
Purtroppo, dal drammatico caso di Alfredino e per tutti i 40 e più anni dopo, si è aperta la strada alla spettacolarizzazione del dolore, venduto all’informazione e alla gogna mediatica, poiché è risultato molto più redditizio di un dignitoso rispetto di chi vive la tragedia e della verità, tanto che nessuno poi apre bocca con lo stesso vigore quando la verità processuale è stata definitivamente accertata.
Forse sarebbe più bello vivere in una società rispettosa del dolore e dell’intimità delle vite altrui, che non si intrometta prima di sapere le cose, e che soprattutto non lo faccia in una posizione vigliacca, dalla forte trasmissione televisiva verso il debole silenzio degli uomini comuni, siano essi i poliziotti o i parenti delle vittime.
Forse sarebbe il caso di interrogarsi sul disagio che vivono le periferie, dopo decenni e decenni di ghettizzazione operata da chi oggi si riempie la bocca con giudizi perbenisti che si adeguano bene solo all’utopico mondo in cui vive l’intellighenzia.