Radiograph of a family di Firouzeh Khosrovani: il ritratto della figlia lacerata

Il recente documentario di Firouzeh Khosrovani, Radiograph of a family
Spesso, quando siamo piccoli, ci sentiamo rivolgere la domanda se vogliamo più bene a nostra madre o nostro padre; e la reazione, altrettanto spesso, è lo sconcerto, l’imbarazzo, la paura. A volte sapremmo cosa rispondere ma non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo. E questa domanda risuona tuttora nelle nostre menti di adulti, e racconta degli sforzi immani che abbiamo fatto per dimostrare ai nostri genitori il nostro amore incondizionato e assolutamente paritario, e l’altrettanto doloroso sacrificio che ci è costato nel cercare di tenerli insieme, inutilmente e con grande sofferenza. Radiograph of a family, il recente e toccante documentario della cineasta iraniana Firouzeh Khosrovani, che ripercorre la sua vita di figlia attraverso i reperti dei genitori, parla anche di questo. In un mosaico infelice, risultato sapiente e brillante di un mix di tecniche filmiche disparate (dai filmati di archivio al family footage, dal documentario fotografico alla presa diretta) la regista, attraverso un fittizio e distaccato tono narrativo di voice-off, traccia il percorso della vita personale e matrimoniale dei suoi genitori. Da Teheran alla Svizzera, tra numerosi e contrastanti andate e ritorni, la regista traccia un potente e commovente ritratto di famiglia, che sembra assomigliare più ad un puzzle al quale la cineasta tenta di volta in volta di recuperare tasselli di memoria. Un uso originale dell’elemento d’archivio, che diventa strumento di introspezione e di paradossale desoggettivazione.

Le radici contrastanti tra integralismo e secolarizzazione
Soprattutto nella figura della madre Tayi e nella sua radicale trasformazione sembra risiedere la causa del rancore che per anni ha investito la regista e i suoi pensieri più intimi; da giovane donna religiosa, osservante, obbediente al marito e completamente frustrata per la sua impossibilità ad esprimersi e trovare un posto nel mondo, la madre al ritorno in Iran incrocia la strada dell’integralismo rivoluzionario della fine degli anni Settanta. Da moglie devota e sottomessa trova la sua vocazione e il suo posto nel mondo: diviene la voce della nuova rivoluzione di Teheran, seguace indefessa di Ali Shariati, combattente e combattiva insegnante islamica. Sempre più distante dalla figlia Firouzeh e dal marito, che si ritira in un silenzio fatto di musica classica, inverte i ruoli storici e sociali, rivelando una volta per tutte l’abisso incolmabile della coppia. Un abisso che nemmeno l’amore della figlia riesce a colmare e con il quale la regista, ormai donna, cerca di fare i conti; ora che il padre è morto e la madre è anziana, e ancora una coriacea e severa osservante dei precetti del Corano, Firouzeh Khosrovani ricostruisce una memoria sonora, visiva e affettiva dei frammenti mnemonici genitoriali, cercando di ricostruire anche la sua fragile memoria. Ma allo stesso tempo permette di intavolare una sottile riflessione sulla cultura e la società iraniana e delle sue attuali ripercussioni sulla memoria presente. Giustamente riconosciuto e apprezzato nei festival specializzati (primo su tutti l’IDFA), il recente documentario di Khosrovani scava nella duplice e lacerata identità personale, fatta dell’amore per la madre e per il padre, tra integralismo e secolarizzazione, e della difficoltà di far convivere queste due nature, in una lotta psicologica continua.