“Stabat Mater”, all’Eliseo la tragedia moderna d’una madre antica

Immaginate la Passione di Cristo, vista con gli occhi di Maria e reinterpretata in chiave post-moderna. Immaginate quindi una Maria di periferia, vera popolana, prostituta part-time, agguerrita combattente per la vita e per il figlio, che arranca e s’arrangia per sbarcare il lunario e tenere insieme, al meglio che può, amore e povertà, desiderio e precarietà.
Immaginate una scenografia deserta, giusto un grande tavolo circolare, di legno, abbandonato sul palco con sfondo grigio-azzurro del fondale, quasi un palco dentro il palco. Immaginate parole aspre, che escono a volte a fatica, più spesso dirompenti, non mediate, dolorose.
Avete immaginato tutto questo? Bene, ci siete andati vicino, ma questo Stabat Mater vi darà molto di più: vi sorprenderà, vi coinvolgerà, vi scandalizzerà, vi farà ridere di gusto e commuovere più di quel che pensate d’essere capaci, più di quel che siete disposti a fare.
Maria Paiato è semplicemente fantastica: in un’ora e mezza di monologo (senza intervallo), racconta i propri affanni di ragazza madre, la lotta quotidiana con il mondo greve e perbenista che la circonda, la solitudine di crescere un figlio “che ha una testa così”, con l’affetto furioso d’una tigre e lo strazio finale del sacrificio. Racconta mischiando lingue e dialetti, dal barese più turgido al piemontese affettato, racconta interpretando, anzi, evocando i personaggi secondari, l’assistente sociale, il prete di quartiere, il commissario, il giudice, la Maddalena (che qui è una prostituta tossica, che seduce e travia il figlio), usando appunto quel gran tavolone come un suo personale palcoscenico, come un catalogo di memorie dolorose.
Non fa sconti a nessuno, questa Maria, e neppure a se stessa: di volta in volta grida la sua rabbia contro questo e quello, insulta, graffia, attacca. Ma se spera che possa salvarla e salvare il figlio, blandisce, lusinga, mente, bugiarda per necessità e con malizia. Sola, soprattutto: sola a combattere, sola a soffrire.
È donna del popolo più profondo, è soprattutto madre: cresciuto il figlio al meglio che può (a Simmenthal e Nutella), non può far altro che accompagnarlo passo per passo, nella discesa verso il suo destino ultimo: coinvolto dalle ‘cattive compagnie’, ci sarà l’arresto, il tribunale, la morte in carcere.
Dietro tutto questo, allusa e non mostrata, l’allegoria evidente della passione di Cristo, quasi un brogliaccio su cui ricamare, quest’altra storia, dei giorni nostri, dei nostri tempi, incarnata nelle parole ruvide e nei gesti sfrontati d’una Maria incredibilmente vera e vissuta.
Anche se a tratti il testo (che pure spesso diverte e fa sorridere) sembra subire un po’ il suo personaggio unico, e così forte, con qualche caduta di stile qua e là, resta ineccepibile l’interpretazione vivissima e totalmente polarizzante di Maria Paiato, che semplicemente è Maria, senza più diaframmi o filtri o velature. Un carisma fortissimo, un’energia e una presenza sceniche uniche, assieme ad un controllo dei registri e dei toni che le permette di passare dalla farsa al dramma, dalla burla alla tragedia senza una sbavatura.
Assolutamente da non perdere.
Regia: Giuseppe Marini
Interpreti: Maria Paiato
Al Teatro Piccolo Eliseo, fino all’11 Marzo
Via Nazionale 183
Tel 06 83510216